La Giustizia non è solo Rosa, Olindo e Toti
- di: Redazione
Non avendo il dono (o la maledizione) della divinazione, non sappiamo come sarà l'Italia del futuro che, a secondo di chi vuole profetizzarlo, potrebbe essere un Paradiso in terra o diventare una succursale dell'inferno, e non parliamo solo di politica.
Il quesito è banale, e forse anche troppo reiterato. Ma apre a considerazioni che, sebbene riguardino la cronaca, investono la Politica e, scrivendola con la la ''P'' maiuscola, ci riferiamo a coloro che, interpretandola, dovrebbero agire per il bene della comunità. Ovvero, di noi tutti. Eppure uno dei pilastri di un Paese che si dice civile traballa paurosamente sotto la spinta di una disturbante valutazione, limitando il tutto ad una visione ideologica (o che ambisce a essere tale) e non guardando alla semplice regola che tutti siamo uguali, o dovremmo esserlo, davanti a quella donna bendata (perché non può guardare in faccia a nessuno), che regge una bilancia con i piatti perfettamente in equilibrio.
Eppure non è così perché della Giustizia ci si occupa parlando soprattutto di riforme copernicane, che interessano poco o nulla alla gente comune, o elevando a casi nazionali vicende che, come nelle fumerie d'oppio di un paio di secoli fa, servono a narcotizzare il contatto con il mondo esterno.
La Giustizia non è solo Rosa, Olindo e Toti
Quindi, mentre il ministro Nordio e parte della maggioranza, plaudono ad una riforma che definiscono epocale, l'esatto contrario sostengono i magistrati e buona parte degli italiani. Perché, dicono i detrattori della riforma, depenalizzando alcuni reati legati alla pubblica amministrazione, se si sollevano eletti e funzionari dalla paura paralizzante di apporre una firma, di fatto deprivano il potere investigativo del giudice che non sempre, indagando, si trova davanti a fattispecie immediatamente classificabili come non lecite.
Dire che la cancellazione del reato di abuso d'ufficio è stata una battaglia di civiltà è mettere in un angolo le esigenze della magistratura inquirente, sacrificandole ad un approccio dogmatico al rapporto tra chi indaga e chi viene indagato (non nell'accezione dell'iscrizione nel registro relativo).
Ma questo si voleva e questo è stato, e tacciamo, non sapendo veramente cosa dire, sul fatto che si prevede che prima di un provvedimento restrittivo l'eventuale destinatario sia interrogato preventivamente. Va bene che tale misura non è prevista per i reati più gravi o che mettono in pericolo l'incolumità di qualcuno, ma è abbastanza singolare che si avverta il destinatario di una indagine, quando magari gli accertamenti sono in una fase delicata o decisiva e la segretezza diventa elemento imprescindibile.
Però, piuttosto che chiedere e chiedersi i motivi veri di questo stravolgimento delle ''regole del gioco'', il Paese si perde - anche per colpa dei media - dietro singoli casi, che pure hanno creato clamore, ma che sono poca cosa davanti al disastro, ad esempio, degli organici della Giustizia (magistrati, ma anche funzionari laici) o dello stato delle carceri dove persone, seppure responsabili o accusate di fatti gravissimi, vivono in condizioni che di umano hanno ben poco.
Quindi, fiato alle trombe e paginate intere dedicate a una coppia che, nonostante una condanna all'ergastolo ormai definitiva, per un vero e proprio massacro, dice di essere innocente e sollecita l'ennesima revisione del processo, grazie ad un can can mediatico al quale si sono accodati anche uomini che, per il loro ruolo, avrebbero dovuto essere terzi.
E non possiamo non pensare che i mali della Giustizia si restringono alla posizione di detenuto in regime domiciliare di un presidente di Regione che, per il solo fatto di avere stretto rapporti sin troppo evidenti con un imprenditore e di avere accettato degli aiuti concreti (per lui leciti, per Procura e Gip assolutamente no), dovrebbe farsi da parte, anche solo per meglio difendersi e per consentire all'ente di operare in condizioni di normalità. Senza nemmeno soffermarsi più di tanto sulla circostanza che due componenti (laiche) del Csm, vicine al centrodestra, abbiano chiesto lumi sul comportamento dei giudici genovesi, sollecitando un procedimento disciplinare, come se indagare su un qualcuno - chi esso sia - possa di per sé essere oggetto di una valutazione di merito del Consiglio superiore della magistratura.
Si insorge, in più sedi, perché questo Presidente non viene liberato e si tace, invece, sul fatto che siano stati concessi i domiciliari ad uno dei due giovani americani strafatti di droga che, con un coltellaccio, sventrarono un brigadiere dei carabinieri, in una strada di Roma, uccidendolo solo perché stava facendo il suo lavoro. Il fatto che l'originaria condanna all'ergastolo sia stata ridotta ad una decina d'anni e, quindi, alleviata con il carcere domiciliare sembra non interessi a nessuno. Se non alla vedova che, con una compostezza che tale vicenda potrebbe anche non determinare, si chiede se questa è Giustizia. Lei non lo dice, ma ancora la moglie della vittima così come i congiunti, costituitisi parte civile, non hanno visto nemmeno un centesimo di quanto ai due imputati è stato imposto come risarcimento.