Forse qualcuno si sarà rallegrato per il rallentare dell’economia tedesca, vista spesso come concorrenziale alla nostra economia, meno consolidata e più spontanea. In realtà, la crisi dell’industria tedesca ha indubbi riflessi negativi sul sistema produttivo italiano; l’affievolirsi del dinamismo germanico indebolisce anche le prospettive economiche degli altri paesi europei.
Nel 2023, la Germania è stata l’unica economia europea con il segno meno. La Germania, nel 2022, ha fatto registrare un calo degli investimenti nel manifatturiero (fonte Bundesbank), che ha causato, tra l’altro, anche una riduzione della produttività nel ’23.
Dall’analisi del quadro economico tedesco si può rilevare che la contrazione dell’export e l’aumento, in particolare, del costo dell’energia, hanno ampiamente contribuito a mettere in crisi il motore della crescita continua a livelli medio-alti. Un effetto analogo si ha negli altri paesi europei. Inoltre, la forte sensibilità tedesca per lo sviluppo dell’export ha indotto la Germania ad adottare una politica estera molto sensibile a intrattenere buoni rapporti con la Cina, importante acquirente di automobili tedesche, e con la Russia, distributore di gas a basso prezzo. La sostituzione di questi fattori, per le note ragioni geo-politiche e nonostante la globalizzazione, non è di facile soluzione a parità di costi e di ricavi.
Per un’economia strutturalmente dipendente dalla domanda estera di beni, come è quella tedesca, e per i suoi effetti sugli altri paesi europei, l’attuale scenario internazionale rende complicata l’uscita dalla crisi e una ripresa della via della crescita economica.
Siamo, dunque, di fronte alla fine del ruolo del sistema manifatturiero tedesco come locomotiva per tutta l’Europa?
Il ruolo di motore della crescita, secondo il report di Enrico Letta sulla UE (E. Letta “Molto più di un mercato”, Il Mulino) potrà essere svolto da un’UE più integrata. Infatti, l’Europa è un terreno fertile alla crescita, ponendosi al centro dell’economia mondiale per peso economico, insieme a Usa e Cina.
In altri termini, l’UE ha di fronte a sé una sfida strategica che consiste nello sviluppo di competitive piattaforme tecnologiche, coinvolgendo gli altri paesi europei.
La sfida è, quindi, di promuovere, secondo Letta, un nuovo mercato unico, realizzando un salto di qualità del “Sistema Europeo”. Su questo tema, per più di un aspetto, anche il “Report Draghi” si muove in una direzione analoga: se c’è più produttività ci sarà più mercato, quindi una ripresa della crescita. Per ottenere questo risultato, secondo Draghi, è opportuno avviare politiche integrali; particolarmente in materia di investimenti tecnologici; prioritariamente in Intelligenza Artificiale.
Oggi, l’industria europea è statica, poco dinamica. Fa fatica a cogliere le opportunità offerte dai nuovi cambiamenti nel commercio internazionale, dimostra di essere rigidamente condizionata dall’alto costo dell’energia, dalla frammentazione degli investimenti nelle nuove tecnologie digitali, dalla pesante burocrazia comunitaria.
Il rapporto Draghi propone un salto di qualità nel modello economico europeo; significativo, a questo proposito, è il progetto dell’unione dei mercati dei capitali; come la gestione unitaria dei beni pubblici europei, assieme a importanti investimenti nelle tecnologie avanzate come l’Intelligenza Artificiale, nuovo motore di crescita.
In conclusione, la proposta, che si trova in entrambi i rapporti citati, è la trasformazione dei singoli mercati nazionali in un unico mercato europeo, premessa per l’adozione di un unico modello economico, in grado di competere con Usa e Cina, per effetto della creazione di avanzate piattaforme tecnologiche, portatrici di prosperità diffusa.
Con questa operazione commerciale su larga scala l’Unione Europea dovrebbe diventare un grande mercato globale.
L’Europa come unione di popoli con anima è rinviata, e a quando?