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Gaza, il veto che divide: gli Stati Uniti bloccano l’Onu sugli aiuti

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Gaza, il veto che divide: gli Stati Uniti bloccano l’Onu sugli aiuti

New York, Consiglio di sicurezza. Sul tavolo una risoluzione: aprire corridoi umanitari nella Striscia, fermare i bombardamenti. Una tregua minima. Serviva per consentire l’ingresso di cibo, acqua, medicine. Gli Stati Uniti hanno detto no. Hanno messo il veto. Lo hanno fatto ancora una volta, come altre decine dal dopoguerra. Lo hanno fatto per difendere Israele, partner storico, anche davanti a una crisi che la stessa Croce Rossa definisce “catastrofica”.

Gaza, il veto che divide: gli Stati Uniti bloccano l’Onu sugli aiuti

Le parole dell’ambasciatrice americana sono state nette: “La sicurezza di Israele viene prima”. Niente aperture, niente compromessi. Washington si blinda. Il risultato: la guerra va avanti, i civili continuano a morire sotto le macerie.

La rabbia degli altri
La Cina parla di “delusione”, un linguaggio diplomatico che nasconde una condanna politica. Mosca appoggia la bozza e prova a capitalizzare l’isolamento americano. L’Autorità nazionale palestinese usa due parole: “rammarico e sconcerto”. Nelle strade di Ramallah le reazioni sono più dure: accuse di complicità, rabbia verso l’Occidente.

Intanto, a Gaza City, i raid israeliani colpiscono di nuovo quartieri residenziali. Case già bombardate vengono spianate. L’Onu segnala che oltre un milione di persone non ha più accesso stabile ad acqua potabile. Hamas replica con il messaggio più crudele: “Gli ostaggi non torneranno”. È una guerra senza tregua, fatta di missili e propaganda.

Politica e bombe
In Israele la guerra diventa anche questione di consenso. Un sondaggio mostra che l’opposizione potrebbe superare Netanyahu e costruire un governo alternativo. È il prezzo della guerra lunga, degli ostaggi che non tornano, dell’isolamento internazionale. Il premier resta aggrappato alla promessa di vittoria totale, ma il paese si divide.

La società israeliana, abituata a convivere con la minaccia, oggi vive la frattura più profonda: continuare la guerra a ogni costo o cercare un compromesso che sembra impossibile. E nel frattempo l’aviazione colpisce, senza sosta. Gaza diventa ogni giorno più maceria.

La piazza italiana
Il conflitto arriva anche qui. In Italia oggi e lunedì si sciopera per Gaza. Trasporti fermi, scuole chiuse, università che si fermano. Roma, Milano e altre città si preparano a cortei, sit-in, assemblee. Non solo la comunità araba, ma pezzi di sindacato e movimenti studenteschi. Gaza entra nell’agenda politica italiana, tra accuse al governo di silenzio e richieste di riconoscere lo Stato palestinese.

Il ministro degli Esteri invita ad abbassare i toni, ma il clima resta teso. Il tema divide partiti e opinione pubblica. La distanza geografica non protegge più: la guerra diventa anche italiana, nelle piazze e nei discorsi politici.

Una frattura globale
Il voto all’Onu fotografa il mondo: da un lato Washington e pochi alleati, dall’altro la maggioranza che chiede aiuti e tregua. L’Europa resta spaccata, incapace di una linea comune. L’Italia, come spesso accade, segue senza voce autonoma.

Per molti Paesi del Sud globale Gaza è simbolo della disparità di potere: l’Occidente che difende Israele a ogni costo contro un popolo senza Stato, senza esercito, senza acqua. È la guerra delle proporzioni.

Il veto americano non ferma i missili, non salva gli ostaggi, non evita la fame. Ma segna una linea: chi sta con chi. Una frattura che non è solo diplomatica. È geopolitica, morale, culturale. E Gaza resta al centro, come ferita aperta che divide il mondo.

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