Eolico offshore, rischio per la pesca italiana: la sfida tra sostenibilità e occupazione
- di: Cristina Volpe Rinonapoli
L'Italia affronta una sfida cruciale nel bilanciare la transizione ecologica e la tutela delle attività economiche tradizionali, come la pesca. Lo sviluppo dell’eolico offshore, un settore in crescita, rischia infatti di avere un impatto significativo sulla pesca a strascico e su altre forme di pesca professionale.
Eolico offshore, rischio per la pesca italiana: la sfida tra sostenibilità e occupazione
Secondo lo Studio di ricognizione e approfondimento sullo sviluppo delle attività legate alle risorse energetiche alternative (impianti eolici offshore) e delle interazioni con le attività di pesca e acquacoltura, realizzato dal Consorzio Mediterraneo per Legacoop Agroalimentare, i nuovi progetti sottrarrebbero alla pesca a strascico il 21,6% della superficie marina attualmente disponibile, con conseguenze economiche e sociali rilevanti.
Ad oggi, l’unico impianto eolico offshore operativo in Italia si trova nella rada esterna del porto di Taranto. Tuttavia, il numero di progetti presentati al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica è aumentato sensibilmente nell'ultimo anno, passando da 66 nel 2023 a 84 nel 2024. Questi progetti interesseranno soprattutto le coste di Sardegna, Sicilia e Puglia, ma anche altre regioni, come Lazio, Calabria, Emilia-Romagna, Toscana, Basilicata e Abruzzo. Secondo lo studio, i nuovi impianti occuperanno una superficie di circa 17.511 km², riducendo ulteriormente gli spazi già limitati per la pesca professionale e la maricoltura. Attualmente, meno del 32% delle acque marine italiane è accessibile alla pesca a strascico, una percentuale che scenderà sotto il 25% con la realizzazione di questi progetti.
Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare, sottolinea la necessità di una pianificazione più attenta per evitare conseguenze drammatiche. "È necessario ridefinire la collocazione degli impianti, posizionandoli in aree di protezione ambientale, così da contribuire anche al raggiungimento del 30% di aree marine protette richiesto dall'Unione Europea entro il 2030. Inoltre, è fondamentale interrare e proteggere i cavi per il trasporto dell’energia, in modo da permettere la continuità delle attività di pesca. Servono norme che consentano l’uso di attrezzi fissi per la piccola pesca artigianale e che garantiscano canali dedicati alla navigazione e alla pesca a strascico all’interno delle aree occupate dagli impianti". Maretti aggiunge che è possibile promuovere attività di maricoltura nelle zone interessate, trasformandole in risorse economiche aggiuntive per le comunità locali.
Lo studio evidenzia come l’impatto non sarà distribuito in modo uniforme, ma concentrato su aree di grande rilevanza per la pesca nazionale. In Sicilia sud-occidentale, ad esempio, le marinerie di Mazara del Vallo, Sciacca, Marsala e Trapani potrebbero perdere fino al 73,5% della superficie attualmente disponibile per la pesca a strascico. Anche la Puglia, con 21 impianti previsti, vedrà un drastico ridimensionamento delle aree di pesca, soprattutto lungo le coste adriatiche, con una riduzione del 58,4% della superficie disponibile. In Sardegna, 16 dei 23 progetti interesseranno principalmente la costa meridionale, creando una cintura quasi continua che comprometterà l’operatività delle marinerie di Cagliari e Sant’Antioco, che rappresentano una parte significativa delle attività di pesca dell’isola.
Dal punto di vista occupazionale, la riduzione della superficie disponibile avrà un effetto diretto sulle comunità locali, con una stima di oltre 4.000 posti di lavoro persi, concentrati in Sicilia, Puglia e Sardegna. La perdita di occupazione colpirà non solo i pescatori, ma anche l’indotto industriale e commerciale legato al settore, aggravando una situazione già complessa. “La pesca a strascico è un settore sotto pressione da anni”, commenta Maretti. “La riduzione degli spazi disponibili non mette a rischio solo l’economia delle marinerie, ma anche il tessuto sociale e culturale delle comunità costiere”.
L’eolico offshore è un elemento chiave degli obiettivi europei per la neutralità climatica entro il 2050, ma lo studio del Consorzio Mediterraneo sottolinea l’urgenza di un approccio inclusivo che tenga conto delle esigenze delle economie locali. “La transizione ecologica non può prescindere dalla sostenibilità sociale ed economica”, conclude Maretti. “Serve una pianificazione condivisa, che coinvolga i pescatori e le comunità locali, valorizzando le risorse del territorio e trovando soluzioni che consentano la coesistenza tra innovazione e tradizione”.
Il futuro dell’eolico offshore in Italia dipenderà dalla capacità di costruire un modello che integri le necessità della transizione energetica con la salvaguardia delle attività tradizionali, evitando di sacrificare intere comunità in nome della sostenibilità ambientale.