Crediti deteriorati ai minimi, ma la storia non è finita
A settembre 2025 i crediti deteriorati netti del sistema bancario italiano – cioè l’insieme di sofferenze, inadempienze probabili ed esposizioni scadute o sconfinanti al netto di svalutazioni e accantonamenti – si sono attestati attorno a 29,4 miliardi di euro. Una cifra che, da sola, dice poco; ma il confronto storico la trasforma in un dato quasi rivoluzionario.
Nel 2015 il sistema bancario italiano conviveva con un picco di circa 196,3 miliardi di crediti deteriorati netti. Oggi il volume è inferiore di circa 167 miliardi, segno di una bonifica lenta ma costante dei bilanci bancari e di anni di cessioni di portafogli problematici, rafforzamento patrimoniale e gestione più prudente del rischio credito.
In proporzione al totale degli impieghi, i deteriorati netti rappresentano ora circa l’1,4% dei crediti complessivi, contro livelli vicini al 10% nel pieno della crisi. Numeri che, per le banche, significano meno zavorra a bilancio e più margine per sostenere famiglie e imprese.
Torriero: stabilizzazione da due anni, ma attenzione alle nuvole
Questo quadro, però, non va letto come un “lieto fine”. Lo sottolinea con forza il vice direttore generale vicario dell’Abi, Gianfranco Torriero, che parla di una fase di relativa stabilità, ma invita a guardare oltre il dato secco.
Negli ultimi due anni, spiega, il livello dei crediti deteriorati si è sostanzialmente stabilizzato: non c’è più l’ondata di nuove sofferenze che aveva travolto il sistema durante e dopo la crisi finanziaria e del debito sovrano. Eppure, l’allarme non è disattivato.
Torriero mette in guardia dal combinato disposto di più fattori. Da un lato i rischi geopolitici, che spaziano dai conflitti in corso alle tensioni commerciali globali; dall’altro un’economia italiana che cresce a passo lento, con un tasso di espansione definito “abbastanza contenuto”. In mezzo, un elemento ancora poco visibile nelle statistiche, ma già sul radar degli analisti: i dazi.
Le misure tariffarie varate o minacciate negli ultimi mesi – in particolare quelle statunitensi verso alcuni prodotti europei – non si riflettono ancora in modo pieno sui conti delle imprese. Ma l’effetto potrebbe emergere progressivamente, comprimendo i margini delle aziende esportatrici più esposte.
In questo contesto, Torriero non esclude un’inversione di tendenza: “Ci aspettiamo che un po’ di rimbalzo sui crediti deteriorati ci possa essere”, spiega, pur precisando che, nelle valutazioni dell’Abi, l’eventuale risalita non dovrebbe assomigliare al boom drammatico delle sofferenze registrato intorno al 2015. Il messaggio è chiaro: niente panico, ma monitoraggio costante.
Perché i crediti deteriorati restano un termometro chiave
Per l’Abi, seguire passo passo l’evoluzione degli Npl non è mera contabilità. È un modo per leggere in tempo quasi reale lo stato di salute del tessuto produttivo. Se aumentano con decisione, significa che famiglie e imprese faticano a onorare i debiti, quindi che il motore dell’economia sta perdendo giri.
Torriero ricorda che l’associazione monitora “con molta attenzione” il quadro macroeconomico complessivo proprio perché l’andamento dei crediti deteriorati è un indicatore sintetico delle difficoltà – o del miglioramento – del sistema Paese. Dietro ogni posizione incagliata ci sono aziende che rallentano, investimenti rinviati, consumi compressi, posti di lavoro a rischio.
La pulizia dei bilanci, peraltro, non è arrivata gratis: ha richiesto ricapitalizzazioni, cessioni di portafogli a forte sconto, ristrutturazioni profonde. Ora che l’acqua si è ritirata, il sistema appare più solido, ma proprio per questo gli operatori sanno quanto possa essere costoso e doloroso un nuovo ciclo di deterioramento del credito.
Prestiti ancora in crescita, ma il passo si fa più prudente
La fotografia di settembre sui crediti deteriorati si inserisce in un contesto in cui i prestiti a famiglie e imprese continuano a crescere, seppure con un ritmo meno brillante rispetto ai mesi precedenti. Secondo gli ultimi dati disponibili, a ottobre 2025 l’ammontare complessivo dei finanziamenti al settore privato è aumentato di circa l’1,5% su base annua, dopo un settembre che aveva visto incrementi più vivaci per famiglie e imprese.
Per le famiglie, la dinamica positiva prosegue da numerosi mesi consecutivi, segno che la domanda di mutui e credito al consumo resta sostenuta. Le imprese, dal canto loro, continuano a finanziarsi per investimenti e capitale circolante, ma con un approccio più selettivo, complice un quadro globale incerto.
Il messaggio che arriva dai numeri Abi è duplice: il credito non si è fermato, e questo è un buon segnale per l’economia reale; allo stesso tempo, non si vedono corse spericolate all’indebitamento che potrebbero innescare nuovi squilibri in futuro.
Tassi in calo e qualità del rischio in miglioramento
La fase attuale è segnata anche da un’evoluzione favorevole dei tassi di interesse. Dopo i rialzi legati alla stagione restrittiva della Banca centrale europea, i costi del denaro hanno imboccato una traiettoria discendente: tagli progressivi dei tassi di riferimento e movimento al ribasso dei rendimenti di mercato hanno alleggerito il fardello degli oneri finanziari per famiglie e imprese.
Le statistiche Abi indicano che, nel corso del 2025, il tasso medio sulle nuove operazioni per l’acquisto di abitazioni e quello sui finanziamenti alle imprese si sono gradualmente raffreddati rispetto ai picchi del 2023. In parallelo, il tasso medio sul totale dei prestiti in essere si è assestato su livelli più gestibili, contribuendo a contenere il rischio che posizioni oggi in bonis diventino in futuro crediti problematici.
Non si tratta però solo di tassi. Il miglioramento della qualità del rischio è frutto anche di criteri di erogazione più rigorosi, di una maggiore attenzione alla sostenibilità dei piani di rimborso e, in molti casi, di un dialogo più strutturato fra banche e debitori in difficoltà, attraverso rinegoziazioni e ristrutturazioni del debito.
Dazi, geopolitica e crescita debole: dove si nascondono le insidie
Se il passato racconta una discesa impressionante dei crediti deteriorati, il futuro resta costellato di incognite. Sul tavolo ci sono almeno tre grandi famiglie di rischi.
Il primo è la geopolitica: conflitti, instabilità in aree strategiche per l’energia e le materie prime, tensioni nei traffici marittimi. Ogni shock sulla catena degli approvvigionamenti può trasformarsi in aumento dei costi per le imprese italiane e, nel tempo, in difficoltà nel servizio del debito.
Il secondo è rappresentato dai dazi e dalle guerre commerciali. Molte aziende italiane, soprattutto quelle orientate all’export, stanno osservando con apprensione le mosse degli Stati Uniti e di altre grandi economie su acciaio, auto, agroalimentare e altri comparti sensibili. Per ora, come osserva Torriero, l’impatto non è ancora visibile in modo netto nei numeri dei crediti deteriorati, ma è considerato un fattore di rischio in crescita.
Il terzo riguarda la crescita economica interna. Un Pil che viaggia a velocità moderata rende più fragile la capacità del sistema di assorbire shock esterni. Se la domanda interna rallenta, le imprese più indebitate o meno efficienti possono trovarsi rapidamente in affanno, alimentando nuove criticità nei portafogli bancari.
Che cosa guarderanno le banche nei prossimi mesi
Alla luce di questo quadro, l’attenzione del settore bancario nei prossimi mesi sarà concentrata su alcuni indicatori chiave:
- Tasso di crescita dei prestiti: un rallentamento marcato potrebbe segnalare prudenza eccessiva delle banche o domanda debole da parte di famiglie e imprese.
- Nuovi flussi di crediti deteriorati: più dei livelli complessivi, conterà la quantità di nuove posizioni che entrano in stato di sofferenza o inadempienza.
- Settori più esposti ai dazi e alla debolezza internazionale: manifattura, export-oriented, automotive allargato, componentistica, chimica fine e agroalimentare di qualità.
- Andamento dei tassi di mercato: un eventuale cambio di rotta della politica monetaria o un ritorno della volatilità sui mercati obbligazionari potrebbe riflettersi sui costi di finanziamento.
Per ora, il quadro resta quello di un “nuovo equilibrio” con banche più solide, bilanci più puliti e una vigilanza molto intensa, sia da parte delle autorità europee sia della Banca d’Italia. Ma chi ha vissuto la stagione degli Npl fuori controllo sa che l’euforia è un lusso che il sistema non può permettersi.
Dalla grande crisi a oggi: cosa è cambiato per famiglie e imprese
Rispetto al decennio scorso, la relazione fra banche, famiglie e imprese è cambiata in profondità. All’epoca del picco dei crediti deteriorati, molte aziende si sono viste chiudere le linee di credito o hanno dovuto accettare condizioni molto onerose; le famiglie hanno subito un forte irrigidimento dei criteri per la concessione di mutui e prestiti.
Oggi, grazie anche alle pressioni regolamentari europee, gli istituti adottano più spesso procedure di early warning, cercando di intercettare i segnali di difficoltà prima che si trasformino in sofferenze conclamate. Cresce anche il ricorso a strumenti di ristrutturazione e consolidamento del debito, soprattutto per le piccole e medie imprese.
La sfida dei prossimi anni sarà conciliare questa maggiore prudenza con la necessità di finanziare la transizione verde e digitale, due frontiere che richiedono investimenti massicci e orizzonti di rientro lunghi. In questo senso, mantenere sotto controllo i crediti deteriorati è una condizione indispensabile per liberare risorse verso i nuovi progetti.
Conclusione: una situazione migliore, non per questo definitiva
I 29,4 miliardi di crediti deteriorati netti registrati a settembre 2025 raccontano un sistema bancario profondamente diverso da quello del 2015: più patrimonializzato, più selettivo, più abituato a fare i conti con il rischio. Ma non sono un traguardo definitivo.
L’Abi, tramite la voce di Torriero, ribadisce che questo indicatore resta una bussola centrale per leggere la salute dell’economia italiana. Un eventuale “rimbalzo” dei deteriorati non sarebbe di per sé una catastrofe, se contenuto e gestito; diventerebbe un campanello d’allarme forte solo se accompagnato da una frenata brusca del credito e della crescita.
Per ora, la combinazione di dati in miglioramento sulla qualità del credito, credito ancora in espansione e tassi in discesa offre un quadro complessivamente favorevole. Ma la lista dei rischi globali ricorda che il sistema non può adagiarsi: monitorare, prevenire e intervenire in anticipo resta la parola d’ordine.