Covid-19: l'ennesimo decreto, le ennesime perplessità

- di: Diego Minuti
 
Se chi ci governa, oggi come ieri, avesse fatto campeggiare sulla sua scrivania una lastra di marmo con sopra scritta una semplicissima frase, ''la via più breve tra due punti è una linea retta'', forse si sarebbero potuti evitare molti dei mali che affliggono il Paese. Dico questo perché resta incomprensibile come davanti a scelte che sono le migliori, i nostri governanti - anche in momenti drammatici come quelli che stiamo vivendo - si infilano in cul de sac burocratici, infliggendo a noi, poveri Cristi, una tortura quotidiana.
Di esempi, ai tempi del Corona Virus, se ne potrebbero citare tantissimi perché, dato atto della drammaticità della contingenza e della relativa disponibilità di risorse utilizzabili, il Governo è andato avanti seguendo la strada maestra degli annunci cui non hanno fatto seguito, per come era invece necessario, i fatti. Un esempio evidente e che lascia perplessi, per non dire sconcertati, è l'ennesimo decreto del Presidente del Consiglio che, stanziando 55 miliardi di euro (tra reali, virtuali, sperati, promessi), pensa di avere fatto un grandissimo passo in avanti nella soluzione della crisi economica del Paese. Complimenti alle intenzioni, ma prima di applaudire occorre andare alla verifica. Certo è, comunque, che anche in questa occasione il Paese rischia di pagare una conduzione politica precaria (conseguenza della evidente conflittualità tra le due componenti più importanti della compagine di governo), dove a prevalere non sono gli interessi della collettività, ma quelli di singoli spezzoni della società, come categorie produttive che reclamano fondi e stanziamenti rivendicando a se stesse e non ad altri diritti di primogenitura sui vari decreti. Così come i precedenti, anche quest'ultimo decreto sembra essere riuscito nella difficile impresa di scontentare qualcuno. C'è chi, come ad esempio Confcommercio, plaude ai contenuti del decreto ma non completamente, reclamando l'erogazione di sostegni economici a fondo perduto quale passaggio necessario per evitare la chiusura di molti esercizi. Tutto giusto, si potrebbe dire, ma il punto è che non si può pretendere che questo Governo, in una situazione assolutamente emergenziale, risolva con un colpo di bacchetta magica le incrostazioni che la burocrazia si porta addosso da decenni e decenni senza che nessuno sia riuscito a scalfirle. Anche la ripartizione delle risorse sembra sottostare a logiche di difficile comprensione, emergendo con evidenza che c'è una disparità di considerazione tra singoli segmenti dello stesso settore, ad esempio quello dell'automotive, cioè delle aziende legate ai motori. Un settore che traina il Pil italiano, ma che non sembra essere stato capace di attrarre la giusta attenzione da parte del Governo. Certo il rapporto che, fino agli anni '70, legava in modo simbiotico le politiche dei trasporti privati e delle grandi infrastrutture con una famosa azienda di Torino si è andato allentando, tanto che la stessa azienda ha preferito spostare la propria sede in un altro Paese, per meri motivi fiscali. Ma oggi, privilegiando la politica verde, il governo ha perso per strada l'attenzione che l'automotive per così dire tradizionale meriterebbe, anche perché i suoi interessi ci legano ad altri Paesi costruttori, ai quali le nostre aziende forniscono la necessaria componentistica. Ma tornando al decreto, annunciato da Giuseppe Conte, contornato da alcuni ministri, esso rischia di essere, come quelli che lo hanno preceduto, un contenitore di misure annacquate, in cui i normali paletti del Tesoro sono diventati insormontabili barriere. Come stanno imparando, sulla loro pelle e su quella delle migliaia di loro dipendenti, gli imprenditori del settore turistico, che ancora non conoscono nulla del loro futuro prossimo. Se tutto rimarrà come è oggi nella macchina burocratica dello Stato, gli ostacoli per i nostri imprenditori privati rimarranno sempre talmente alti da dimostrarsi insormontabili. Ma al Governo bisogna avere il coraggio di chiedere di più, di dotarsi degli strumenti con i quali ad esempio incalzare gli istituti di credito a farsi partecipi del futuro dei loro clienti e non meri ed inani spettatori. Si dirà che le banche devono sottostare a delle regole, che ne garantiscano il rientro economico per ciascuna operazione, ma chi oggi vuole accedere ai fondi promessi dal Governo deve combattere su più fronti perché, all'interno dello stesso istituto di credito, gli interlocutori sono diversi e talvolta marciano a velocità diverse. Riconoscendo al Governo di muoversi tra mille difficoltà, i cittadini hanno il diritto di pretendere misure certe, veloci e senza difficoltà. Mai, come oggi, infatti non ha senso dire che la fretta è sempre una cattiva consigliera.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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