• Tutto con Bancomat. Scambi denaro, giochi ti premi.
  • Esprinet molto più di un distributore di tecnologia
  • Fai un Preventivo

Contratti pirata: il dumping che mina lavoro e Stato

- di: Vittorio Massi
 
Contratti pirata: il dumping che mina lavoro e Stato

Un esercito di 160 mila lavoratori paga caro il prezzo della “pirateria” contrattuale.

(Foto: Carlo Sangalli, presidente nazionale Confcommercio).

È uno scenario inquietante quello che emerge dall’analisi più recente di Confcommercio: oltre 200 contratti pirata attivi in Italia coinvolgerebbero circa 160.000 lavoratori impiegati nei settori del terziario e del turismo. In questi casi, salario, ferie, tutele e benefit vengono drasticamente ridotti rispetto ai contratti standard — con effetti sul reddito delle famiglie e sulle entrate dello Stato.

I numeri choc del dumping contrattuale

Secondo l’analisi presentata da Confcommercio il 1° ottobre 2025, i contratti pirata causano una perdita media annua di 8.000 euro, che in casi estremi può toccare i 12.200 euro per ciascun lavoratore. Il calo del gettito fiscale e contributivo è stimato in circa 553 milioni di euro ogni anno.
Sono state censite circa 21.000 aziende che hanno fatto ricorso a tali accordi, in un panorama dove i CCNL depositati presso il CNEL superano il migliaio. In particolare, nei settori terziario e turismo si registrano oltre 250 contratti nazionali, ma la gran parte dei lavoratori è coperta da pochi accordi “forti”, come quello firmato da Confcommercio, che interessa circa 2,5 milioni di addetti.
Le aree più colpite sono quelle economicamente fragili, con una concentrazione più marcata nel Sud Italia. In alcune province, l’incidenza dei contratti pirata supera il 4%, con picchi che sfiorano il 26% (Vibo Valentia). Roma registra una quota vicina al 7%.
In Umbria, ad esempio, sono stimati 1.515 lavoratori in contratti pirata, pari al 2,3% del totale nei comparti turistici e terziario locali.

Cosa sono e come si diffondono i contratti pirata

Si definiscono “contratti pirata” quegli accordi collettivi stipulati da associazioni datoriali e sindacati poco rappresentativi che propongono condizioni meno favorevoli rispetto ai CCNL tradizionali: riduzione di ferie e permessi, salari minimi inferiori, assenza della quattordicesima mensilità, tutele minime in caso di malattia o infortunio.
Il termine “pirata” richiama l’illegalità morale: questi contratti favoriscono un vantaggio competitivo sleale per le aziende che li applicano, ma colpiscono i lavoratori e l’equilibrio del mercato occupazionale.

Le conseguenze per lavoratori, imprese e finanze pubbliche

  • Per i lavoratori: redditi ridotti, tutele contrattuali ridotte, welfare quasi azzerato, difficoltà previdenziali future.
  • Per le imprese “virtuose”: concorrenza sleale, costi del lavoro più alti, svantaggio competitivo nel mercato.
  • Per lo Stato: minori entrate da contributi e imposte — Confcommercio quantifica la perdita a oltre 553 milioni di euro annui.

Reazioni e richieste dei protagonisti

Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, ha definito il fenomeno “preoccupante” e ha lanciato un appello al Governo: “Serve un impegno concreto per impedire l’applicazione di accordi sottocosto e garantire contratti di qualità”. Inoltre, Confcommercio chiede di potenziare l’attività ispettiva e introdurre criteri di valutazione oggettiva sui CCNL, affinché si possa distinguere tra accordi davvero rappresentativi e formule contrattuali “scadenti”. Il segretario generale Confcommercio Marco Barbieri insiste sulla necessità di “criteri chiari per chi può negoziare contratti collettivi, con controlli più rigidi”, mentre dalle organizzazioni sindacali arriva una sponda: secondo Uiltucs, “è inaccettabile che il tavolo del mercato del lavoro legittimi accordi che alimentano il lavoro povero”.

Qualche confronto internazionale

In Germania, il sistema della Tarifautonomie impone criteri rigidi per riconoscere la rappresentatività sindacale, riducendo lo spazio per accordi “di comodo”. In Francia, la validità di un contratto collettivo è subordinata al consenso di organizzazioni che abbiano una larga rappresentatività e al controllo ministeriale. Il modello italiano, invece, è caratterizzato da una frammentazione crescente: nel 2024 erano depositati presso il CNEL oltre 1.000 contratti collettivi, molti con firme marginali e condizioni peggiorative rispetto alle intese confederali.

Cosa può e deve fare il legislatore

Per contrastare la diffusione dei contratti pirata, Confcommercio propone alcuni provvedimenti prioritari:

  • Introdurre un criterio “di qualità” che prevalga nella gerarchia contrattuale, superando la logica della soglia minima;
  • Definire criteri di rappresentatività certificati da enti terzi (CNEL, INPS), per sancire chi abbia titolo a negoziare;
  • Creare una “scheda comparativa” che consenta agli ispettori del lavoro di valutare il livello protezione dei singoli contratti;
  • Rafforzare gli strumenti sanzionatori e rendere obbligatorio l’uso di un codice univoco per ogni CCNL nei contratti individuali;
  • Promuovere la bilateralità come parametro di contratto di qualità e incentivare le associazioni che offrono servizi aggiuntivi di welfare.

Allarme e opportunità

I contratti pirata rappresentano una ferita aperta nel mercato del lavoro italiano: se non vengono contrastati con decisione, rischiano di erodere non solo il benessere dei lavoratori ma anche la legittimità della contrattazione collettiva stessa. L’azione dello Stato, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni datoriali è chiamata a costruire regole condivise, trasparenti e vincolanti, capaci di mettere un freno alla pirateria contrattuale e restituire dignità al lavoro.

Notizie dello stesso argomento
Trovati 81 record
Trovati 81 record
  • Con Bancomat, scambi denaro, giochi e ti premi.
  • Punto di contatto tra produttori, rivenditori & fruitori di tecnologia
  • POSTE25 sett 720