Il capotreno accoltellato, il ragazzo ucciso sono l'immagine di un Paese che si sente insicuro

- di: Redazione
 
Rosario Ventura, il capotreno accoltellato a Genova da un giovane egiziano che ha rischiato di ucciderlo, è il simbolo di un Paese che si sente insicuro perché è insicuro nelle sue basi, quelle su cui si dovrebbe fondare la convivenza.
La vicenda è ormai nota e poco sposta sapere che l'autore dell'aggressione sia stato arrestato e che la ragazza che era con lui sia stata denunciata.

Il capotreno accoltellato, il ragazzo ucciso sono l'immagine di un Paese che si sente insicuro

È l'enormità dell'accaduto la cosa sui cui riflettere, con episodi come questi che sono entrati nel vocabolario che quotidianamente, come Paese, siano costretti a leggere e rileggere, aggiornando il lemma per la loro comprensione. Perché è difficile capire come un ragazzo di vent'anni, Santino Romano, sia stato ucciso a colpi di pistola da un diciassettenne che, in questo modo, ha voluto lavare nel sangue (peraltro di qualcuno che non c'entrava nulla con l' ''offesa'' patita) il fatto che, nella calca di una zona di passeggio, gli era stato pestato un piede.

Possiamo ribellarci, urlare contro questo o quello, ma è l'Italia di oggi, un Paese che si alimenta quotidianamente delle proprie insicurezze, che dovrebbero avere risposte dallo Stato, che non arrivano nella misura e nell'efficacia che tutti si aspettano.
E poco incide, nel giudizio generale, che al Governo ci sia sempre qualcuno pronto a prendersela con il nemico di turno. Che viene messo alla gogna quando è straniero e soprattutto irregolare, mentre passano nel silenzio episodi esecrabili che però hanno come responsabile qualche italiano di tantissime generazioni e quindi immune al morbo del ''diverso'' che viene affibbiato a chi arriva senza essere stato invitato.
Sarebbe il caso che si smettesse di urlare alla luna e muoversi concretamente, perché la gente è stanca di sentire di morti assurde, di fiaccolate di persone in lacrime e arrabbiate, di zone franche che lo Stato concede, suo malgrado, ad un tessuto criminale ormai diffuso.

Un tempo queste aree si diceva fossero sotto il controllo del crimine mafioso (come bene sanno, sulla loro pelle, tanti onesti cittadini di alcune regioni del Sud d'Italia), oggi lo stesso accade per porzioni di territorio che, divenute piazze di spaccio, sono presidiate militarmente dalla organizzazioni.
Le forze di polizia fanno retate, operazioni, ma l'Idra del crimine rinasce, anche se viene decapitata.

Le ricette ci sono, o almeno ci sarebbero, perché il complesso delle nostre leggi punisce duramente chi delinque, ma troppo spesso le legislazione premiale fa sì che alla condanna non corrisponda la certezza che essa sia scontata, per intero, fino in fondo.
Se il carcere ha una funzione rieducativa, ad oggi ha fallito la sua missione, pur se c'è una percentuale - purtroppo bassissima - di detenuti che escono migliori e pronti a tornare nella società.
Lo Stato ha il compito di difenderci tutti. E in quel ''tutti'' dovrebbero essere compresi coloro che vedono i diritti costantemente violati e davanti ai quali la macchina statuale non sa reagire. E questa è la sconfitta di tutti.
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