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Burry chiude il fondo e scommette sulla bolla dell’AI

- di: Vittorio Massi
 
Burry chiude il fondo e scommette sulla bolla dell’AI
Burry chiude il fondo e scommette sulla bolla dell’AI
Il protagonista reale di “La grande scommessa” liquida Scion Asset Management, avverte che i mercati sono “sconnessi dalla realtà” e abbandona la gestione di denaro esterno proprio mentre la febbre dell’intelligenza artificiale spinge la Borsa ai massimi.

Michael Burry, il medico diventato investitore che ispirò il film “The Big Short – La grande scommessa”, ha deciso di spegnere le luci su Scion Asset Management, il suo hedge fund californiano. La società è risultata deregistrata presso la Sec, l’authority Usa dei mercati, con status “terminated” a metà novembre 2025, come emerge dai registri ufficiali.  

In una lettera inviata agli investitori il 27 ottobre 2025, Burry ha spiegato che liquiderà i fondi e restituirà il capitale entro fine anno, trattenendo solo una quota minima per adempimenti fiscali e di revisione contabile. Nella missiva ha scritto che la sua valutazione dei titoli “non è adesso, e non lo è da tempo, in sintonia con i mercati”.

Dal “Big Short” alla grande fuga dai mercati

Burry non è un gestore qualunque. Medico di formazione, fondò il suo primo fondo, Scion Capital, all’inizio degli anni Duemila e diventò famoso per la scommessa contro il mercato dei mutui subprime, che gli fruttò circa 100 milioni di dollari personali e 700 milioni per i clienti tra il 2000 e il 2008.

Nel 2008 chiuse Scion Capital dopo aver cavalcato il crollo dei mutui ipotecari Usa attraverso credit default swap. Nel 2013 tornò sulla scena con Scion Asset Management, con cui ha continuato a coltivare un approccio dichiaratamente contrarian: puntare contro gli eccessi del mercato, dalle dot-com alle meme stock fino alle grandi big tech.

Nel 2025, però, l’uomo che aveva guadagnato fama proprio andando controcorrente ha deciso che la distanza fra i suoi numeri e quelli del resto di Wall Street era diventata ingestibile. Nella lettera agli investitori ha sottolineato di sentirsi “fuori sincrono” con i prezzi in Borsa e ha scelto di uscire per la seconda volta dalla gestione professionale di capitali esterni.   

Le maxi scommesse contro Nvidia e Palantir

La decisione di chiudere Scion arriva dopo alcune mosse che hanno acceso i riflettori sui timori di Burry verso la bolla dell’intelligenza artificiale. Secondo le comunicazioni regolamentari riferite al 30 settembre 2025, il fondo ha acquistato put options su Nvidia e Palantir per un valore nozionale complessivo superiore al miliardo di dollari: 1 milione di azioni Nvidia (circa 187 milioni di dollari) e 5 milioni di azioni Palantir (circa 912 milioni di dollari).

Queste puntate al ribasso sono arrivate dopo una corsa vertiginosa dei due titoli: Nvidia è diventata la prima società al mondo a toccare i 5.000 miliardi di dollari di capitalizzazione, con un balzo oltre il 50% da inizio anno, mentre Palantir ha messo a segno rialzi superiori al 170% grazie alla narrativa legata all’AI e ai contratti con la difesa.   

La scelta di colpire proprio questi due campioni del nuovo ciclo tecnologico è stata letta come un atto d’accusa contro la “follia” dei multipli che il mercato è disposto a pagare sulle promesse dell’intelligenza artificiale, più che sui flussi di cassa reali.

I messaggi in codice sui social: “A volte l’unica mossa è non giocare”

Burry non ha usato soltanto i documenti alla Sec per far capire come la pensa. Dopo un lungo silenzio, a fine ottobre è riapparso sul suo account X, condividendo un fotogramma del film The Big Short in cui l’attore Christian Bale, che lo interpreta, scruta lo schermo in apnea. La didascalia recitava: “A volte vediamo le bolle. A volte c’è qualcosa da fare. A volte l’unica mossa vincente è non giocare.”

La frase richiama una battuta del film di culto WarGames, in cui un supercomputer capisce che, in una guerra nucleare simulata, non esiste un esito vittorioso: l’unico modo per vincere è non partecipare alla partita. Un riferimento trasparente alla situazione dei mercati di oggi, dove secondo Burry il rischio di rimanere schiacciati dall’esplosione di una bolla è superiore alle opportunità di guadagno.

In un altro post ha annunciato enigmaticamente: “On to much better things Nov 25th.” Gli osservatori hanno interpretato la frase come il segnale di un nuovo capitolo personale o professionale, forse lontano dalla gestione di fondi regolati o, secondo alcune letture, più vicino al mondo delle criptovalute, sempre più visto dai suoi sostenitori come alternativa ai mercati tradizionali iper-finanziarizzati.  

La bolla dell’intelligenza artificiale secondo Burry

Il macro-quadro che ha convinto Burry a staccare la spina è quello di un mercato azionario gonfiato dalla febbre AI. L’indice Nasdaq Composite tratta su multipli di utili futuri ben superiori alla media degli ultimi dieci anni, mentre una manciata di colossi tecnologici legati all’intelligenza artificiale ha trascinato in alto gli indici S&P 500 e Nasdaq 100.   

Burry ha criticato esplicitamente anche la contabilità “creativa” con cui alcuni gruppi tech contabilizzano le enormi spese per infrastrutture cloud e data center, accusando i big del settore di sfruttare ammortamenti e metriche non tradizionali per gonfiare la redditività dei loro investimenti in hardware AI.   

Per il gestore, insomma, le attuali valutazioni hanno perso qualsiasi ancoraggio ai fondamentali, come già accaduto con la bolla dot-com di inizio anni Duemila e con il boom immobiliare pre-2008. Oggi il ruolo delle case di carta sarebbe interpretato da chip, data center e piattaforme software che promettono di rivoluzionare tutto, ma ancora faticano a dimostrare profitti stabili e diffusi.

Cosa significa la mossa di Burry per gli investitori

La chiusura di Scion Asset Management non è un evento isolato. Negli ultimi anni altri noti ribassisti, come Jim Chanos, hanno ridotto o chiuso le loro strutture, schiacciati da anni di rialzi dei listini e dall’enorme liquidità che ha alimentato qualunque storia di crescita.

La scelta di Burry invia però un segnale particolare: se anche uno dei più celebri cacciatori di bolle decide di “non giocare”, significa che ritiene il sistema talmente distorto da rendere inefficace persino la strategia che lo ha reso famoso, cioè la ricerca di grandi errori di valutazione da colpire con operazioni di short.

Per l’investitore medio, il messaggio non è necessariamente quello di uscire in blocco dai mercati, ma di alzare il livello di prudenza: interrogarsi sui multipli che si è disposti a pagare per i titoli dell’AI, valutare la reale generazione di cassa delle aziende e ricordare che anche le storie più convincenti possono trasformarsi in trappole quando i prezzi incorporano anni di crescita perfetta.

Un investitore che resta un riferimento, anche uscendo di scena

Nei primi anni Duemila Burry era un perfetto outsider: medico appassionato di finanza, che analizzava bilanci di notte e postava le sue idee su forum specializzati, fino a essere notato da grandi investitori e a raccogliere capitali per il suo fondo. La sua forza è sempre stata la capacità di leggere i dati in modo indipendente, ignorando le mode.

La decisione di chiudere Scion Asset Management nel 2025 non cancella quella storia. Al contrario, la arricchisce: un investitore che ha costruito la propria reputazione andando contro il consenso oggi sceglie di andare contro il sistema stesso del risparmio gestito, decidendo che, in questa fase, la partita è truccata a monte.

Se la bolla dell’AI dovesse davvero esplodere nei prossimi anni, la sua scelta apparirà come l’ennesima mossa in anticipo sui tempi. Se invece i mercati continueranno a salire, Burry resterà comunque un promemoria scomodo: la finanza non è un videogioco e, qualche volta, rinunciare a giocare è la forma più radicale di prudenza.

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