Banche, Fabi: dal 2019 al 2023 versati 20 milioni di euro al fisco

- di: Barbara Leone
 

Dal 2019 al 2023, le prime cinque banche italiane hanno versato nelle casse dello Stato 20 miliardi di euro. A evidenziarlo è un’analisi della Fabi Analisi sui primi cinque gruppi del Paese volta fotografare il contributo del settore bancario italiano alla finanza pubblica. Dallo studio si evince che negli ultimi cinque anni il settore bancario ha rappresentato un’occasione importante di ricavo per il fisco del nostro Paese e gli utili macinati nei primi sei mesi di quest’anno offrono uno scenario attraente per le casse dello Stato anche per il 2024. Se i primi cinque gruppi creditizi hanno portato a casa ben 45 miliardi di utili, complessivamente, a partire dal 2019, i versamenti al fisco sono passati dai 6,1 miliardi nel 2019 a 1,9 miliardi di euro nel 2020, a 1,7 miliardi nel 2021, 3,3 miliardi nel 2022 e a 6,7 miliardi nel 2023, l’anno d’oro. Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Bper e Monte dei Paschi di Siena hanno pagato, collettivamente, alla fiscalità generale 19 miliardi e 936 milioni di tasse e, se i conti annuali brilleranno sulla scia dei numeri positivi di fine giugno, a guadagnarci sarà anche il forziere dello Stato. Il gettito fiscale proveniente dai principali operatori del settore bancario potrebbe superare quota 8 miliardi. I versamenti tributari hanno visto una accelerazione a partire dal 2021 e il contesto favorevole assicurato dalla politica monetaria della Banca centrale europea potrebbe far proseguire questa tendenza ancora a lungo.

Banche, Fabi: dal 2019 al 2023 versati 20 milioni di euro al fisco

Più in generale, il volto del settore bancario italiano negli ultimi cinque anni si può sintetizzare con meno rischi con più ricavi e utili. E, mentre la politica dei tassi europea si appresta ad arrivare a un bivio nei prossimi mesi, con una riduzione che potrebbe portare il costo del denaro sotto quota 4%, segnali più che positivi sono arrivati dai conti dei primi sei mesi del 2024. I dati complessivi del primo semestre 2024 dicono che, tra la crescita del fatturato e una crescita molto flebile dei costi, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bper e Monte dei Paschi di Siena hanno portato a casa un bottino di quasi 34 miliardi di “fatturato” e sono arrivate a toccare un guadagno finale di quasi 1,3 miliardi di euro: se, per alcuni osservatori, è il miglior semestre di sempre, per altri è solo il sorpasso di risultati passati, ma altrettanto importanti e in crescita da anni.  Tra l’evento straordinario del Covid e l’era dei super tassi, i primi cinque big del settore hanno ottenuto un “fatturato” complessivo di ben 256 miliardi nel quinquennio in esame. Ammontava a quasi 44 miliardi di euro a fine 2019 e 2020, a circa 50 miliardi nel 2021, a sfiorare i 55 miliardi di euro nel 2022 fino a superare quota 63 miliardi di euro a fine bilancio 2023, con il 46% – pari a 117 miliardi di euro – realizzato nei soli ultimi due anni. Mentre i numeri chiave dei ricavi sono sempre stati legati all’attività strettamente creditizia e a quella assicurativa, il solo 2020 ha rappresentato un anno di decrescita, con il fatturato in discesa dell’1%, ma pari, comunque, a 44 miliardi di euro.

Nonostante l’attrattività della vendita dei prodotti finanziari diversi dai prestiti, il margine di interesse ha sempre prevalso nella sfera del fatturato dei primi cinque gruppi, assorbendo in media più della metà del fatturato complessivo. Dal 2019 a fine 2023, gli incassi legati all’attività creditizia hanno consentito alle banche un bottino complessivo di 128 miliardi di euro, con una maggiore incidenza nei periodi favoriti dalla politica monetaria europea e rispettivamente nel 2022 e 2023, quando i ricavi da interesse si sono attestati rispettivamente a 25,8 miliardi di euro e 37,5 miliardi di euro. Nello stesso periodo, la componente del margine commissionale ha consentito alle banche di generare un fatturato pari a quasi 100 miliardi di euro, così suddiviso: 17,9 miliardi nel 2019, 17,7 miliardi del 2020, 21,4 miliardi del 2021 e 21,7 miliardi del 2022. Il solo 2023 rappresenta un anno di controtendenza nella crescita, giustificato dall’esplosione dei guadagni derivanti dalla crescita dei tassi.

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