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Asset russi, l’Ue congela “sine die”: Mosca annuncia ritorsioni

- di: Bruno Legni
 
Asset russi, l’Ue congela “sine die”: Mosca annuncia ritorsioni
Asset russi, l’Ue congela “sine die”: Mosca annuncia ritorsioni
Fine del “rinnovo ogni sei mesi”, nervi tesi tra capitali europee, e un messaggio da Mosca: “Risponderemo”. Sullo sfondo, soldi e sicurezza per Kiev mentre i raid tornano a spegnere le luci.

(Foto: Vladimir Putin).

Che cosa ha deciso l’Unione europea

L’Unione europea ha compiuto un passo che, in diplomazia, equivale a chiudere una porta e girare la chiave: il congelamento dei beni sovrani russi presenti nell’Ue non sarà più un atto da rinnovare periodicamente, ma diventa stabile nel tempo. Il via libera è arrivato con 25 Paesi favorevoli e 2 contrari (Ungheria e Slovacchia).

Il dato politico è pesante: finora il blocco degli asset era legato a un meccanismo di proroghe ricorrenti, vulnerabile a veti e ricatti. Ora l’intento è togliere l’argomento dalla roulette semestrale e mettere il tema su un binario più “lungo”, anche per rendere più credibile qualsiasi architettura finanziaria che coinvolga quei fondi.

Di quali cifre si parla e perché contano

Il cuore della partita ruota attorno ai beni riconducibili alla banca centrale russa e ad altri asset sovrani immobilizzati in Europa: la stima più citata è di circa 210 miliardi di euro, con una quota consistente custodita attraverso infrastrutture finanziarie europee (tra cui i grandi depositari internazionali).

Per Bruxelles il ragionamento è lineare: mantenere quei beni congelati significa preservare una leva finché la guerra continua e, al tempo stesso, rendere praticabile l’ipotesi di usare i proventi o la “garanzia” degli asset per sostenere Kiev, senza scivolare immediatamente nel terreno (molto più esplosivo) della confisca totale.

Il nervo scoperto: prestiti, rischi legali e il caso Euroclear

La decisione europea si incastra con le discussioni su nuovi strumenti di sostegno all’Ucraina per il 2026-2027. In varie capitali l’idea è costruire finanziamenti di ampia scala legati, direttamente o indirettamente, alla massa di asset russi immobilizzati.

Ma l’operazione non è “a costo zero”: c’è il tema dei contenziosi e delle eventuali ritorsioni giudiziarie. La banca centrale russa, ad esempio, ha contestato la legittimità del congelamento e ha avviato azioni legali contro Euroclear, uno snodo chiave nella custodia dei titoli.

Non a caso, in questi giorni alcuni governi hanno chiesto protezioni e garanzie: lo schema è chiaro — nessuno vuole ritrovarsi, da solo, a pagare il conto di una raffica di cause o sequestri “di risposta”.

La replica di Mosca: “Le misure arriveranno”

Da Mosca il messaggio è stato affidato alla portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova: la Russia considera il congelamento un atto ostile e sostiene che le contromisure non tarderanno. Il sottotesto è doppio: pressione politica sull’Ue e avvertimento economico verso aziende, interessi e asset europei che potrebbero finire nel mirino di misure “speculari”.

In passato, la narrativa russa ha spesso legato questo tema a un concetto ricorrente: se l’Occidente sposta il baricentro dal “congelare” al “trasferire o confiscare”, Mosca promette una risposta dura. Ora, la scelta europea di rendere il congelamento permanente viene letta dal Cremlino come un ulteriore irrigidimento.

Garanzie di sicurezza: l’ombra lunga dell’Articolo 5

Nello stesso scacchiere si muove un altro capitolo delicatissimo: come proteggere l’Ucraina se si arrivasse a una tregua o a un accordo. Secondo quanto riportato da media statunitensi, a Washington si discute di una garanzia “in stile Nato”, ispirata al meccanismo dell’Articolo 5, con l’idea di renderla giuridicamente vincolante attraverso un passaggio al Congresso.

È una formula che, anche solo evocata, fa rumore: l’Articolo 5 è il simbolo della deterrenza occidentale. Trasportarne la logica fuori dall’alleanza atlantica — pur con limiti, condizioni e definizioni da scolpire — significherebbe ridisegnare il perimetro della sicurezza europea e il rapporto tra Ucraina, Stati Uniti e principali Paesi Ue.

Resta però un punto che continua a bloccare qualsiasi “finale di stagione”: territori e confini. Senza un’intesa su questo nodo, le garanzie rischiano di restare una promessa in bozza, più politica che operativa.

Il fronte sul terreno: un milione di utenze al buio

Mentre la diplomazia discute di miliardi e clausole, la guerra continua a battere dove fa più male: l’energia. Nelle ultime ore l’Ucraina ha segnalato blackout estesi dopo una nuova ondata di attacchi russi, con oltre un milione di utenze rimaste senza elettricità, soprattutto nel Sud, in aree come Odesa e regioni vicine.

Le autorità ucraine descrivono l’offensiva come una delle più pesanti contro le infrastrutture energetiche degli ultimi mesi, con effetti a catena anche su acqua e servizi essenziali. Mosca, dal canto suo, continua a rivendicare attacchi contro obiettivi legati al sistema militare-industriale, ma l’impatto sulla vita quotidiana — tra freddo e interruzioni — resta evidente.

Perché questa decisione europea pesa oltre i numeri

Il congelamento “sine die” degli asset russi è, prima di tutto, un segnale politico: l’Ue prova a blindare una linea comune e a sottrarre una leva ai governi più tentati dal veto. Ma è anche un messaggio economico: la guerra non è soltanto trincee e droni, è pure accesso ai mercati, fiducia, e controllo di risorse finanziarie.

Il rischio, ora, è l’escalation “ibrida”: non solo colpi sul campo, ma contro-misure su investimenti, giustizia, commercio e asset europei. E in mezzo c’è l’Ucraina, che chiede due cose con la stessa urgenza: luce oggi e sicurezza domani.

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