Lavoro: il 2021 sarà l'anno decisivo per le aspirazioni dei drivers

- di: Jean Aroche
 
I lavoratori delle piattaforme stanno vivendo un periodo di vera e propria rivoluzione, almeno in Europa, dove le decisioni favorevoli di giudici e tribunali stanno riconoscendo loro uno status che, di fatto, ne sancisce il passaggio a dipendenti ordinari rispetto a quello originario di semplici prestatori d'opera. Sotto questa classificazione si intende il soggetto che, sottostando ad un particolare tipo di contratto (appunto il "contratto d'opera"), svolge una attività o un servizio in favore di un altro soggetto, quindi, in sostanza, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione. Nei fatti, di conseguenza, con il profilo di un lavoratore autonomo che dovrebbe non essere sottoposto al committente, in termini di organizzazione del lavoro. Ma non è così, almeno nella stragrande maggioranza dei casi. I giudici che sono intervenuti sulla materia sono stati pressoché univoci nelle loro determinazioni. Così, il 19 febbraio, la Corte suprema britannica ha deciso che i conducenti di Uber devono avere riconosciuta la qualifica di "lavoratori" e non di semplici prestatori di un servizio.

E di sentenze a favore dei drivers negli ultimi tempi ne sono arrivate parecchie, facendo sì che, almeno in Europa, i lavoratori delle piattaforme Internet (Uber, Deliveroo, Frichti, Bolt, Foodora ed anche altre) stiano assistendo ad una svolta in positivo nel rispetto dei loro diritti.
Nel Regno Unito, così come in Italia e nei Paesi Bassi, sentenze dai contenuti e dalle considerazioni eguali ne hanno sancito una riqualificazione come lavoratori dipendenti. In Spagna, poi, si è cambiato in loro favore il codice del lavoro, consentendogli il passaggio, d'imperio, dallo status di precari a quello di dipendenti. E non è finita qui: in Danimarca e Svezia sono stati appena firmati contratti collettivi che garantiscono maggiori tutele per questi lavoratori.

Alcune sentenze non solo hanno riconosciuto ai drivers una qualifica più adeguata al lavoro che garantiscono, quanto hanno accusato i committenti (le piattaforme) di affermare il falso qualificandoli come prestatori d'opera in modo autonomo. Lo scorso anno, in marzo, la Corte di cassazione francese ha sancito, prendendo in esame il caso di un conducente di Uber che chiedeva una assunzione della piattaforma, che il suo status "ufficiale" di imprenditore automobilistico era "fittizio". La stessa Commissione Europea, il 24 febbraio scorso, ha cominciato a discutere per giungere ad un "miglioramento delle condizioni di lavoro" in questo settore.
Secondo Sophie Robin-Olivier, docente alla scuola di Legge della Sorbona, "c'è un vero e proprio allineamento delle decisioni, che vanno verso la riqualificazione della condizione di dipendente".

Il settore in Europa è in forte crescita soprattutto dopo che, con il manifestarsi aggressivo della pandemia, sono state adottate ovunque delle limitazioni negli spostamenti dei singoli, che hanno determinato un aumento del ricorso alle consegne a domicilio. Secondo le ultime stime, in Europa ci sono tre milioni di persone la cui attività principale è lavorare per una piattaforma (cioè l'1,4% della popolazione attiva), nove milioni che la utilizzano come fonte di reddito secondaria (4,1%) e dodici milioni come fonte marginale. In Spagna o Portogallo, tra l'8% e il 9% della popolazione attiva dipende interamente o in gran parte da questo tipo di attività.
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