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Vertice a Palazzo Chigi e scarcerazione: i retroscena del caso Almasri

- di: Marta Giannoni
 
Vertice a Palazzo Chigi e scarcerazione: i retroscena del caso Almasri

Una scelta “irrazionale” dettata dal timore delle ritorsioni libiche: dai crimini di guerra alla richiesta di giudizio per il governo.

(Foto: il ministro Nordio e, sullo sfondo, Osama Najeem Almasri).

Il caso di Osama Najeem Almasri, generale libico accusato dalla Corte penale internazionale (CPI) di crimini di guerra e contro l’umanità, ha preso una piega drammatica a cavallo tra gennaio e agosto 2025: arrestato in Italia, scarcerato e rimpatriato su un aereo di Stato, e ora al centro di una richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di tre ministri italiani.

Chi è Almasri e le accuse internazionali

Al Masri è stato dirigente delle Forze speciali di deterrenza libiche, responsabile della prigione di Mitiga, dove a partire dal 15 febbraio 2015 avrebbe ordinato torture, stupri, omicidi e persecuzioni ai danni di detenuti, in larga parte migranti o oppositori al regime di Tripoli. La CPI ha emesso il mandato di cattura il 18 gennaio 2025, trasmesso alle autorità europee.

Arrestato a Torino il 19 gennaio 2025, pochi giorni dopo aver assistito a una partita di calcio, Almasri è stato portato in carcere, ma la Corte d’Appello di Roma ha disposto la scarcerazione il 21 gennaio, ritenendo l’arresto effettuato senza la preventiva validazione del ministro della Giustizia, come richiede la legge italiana.

Il vertice decisivo: paura di ritorsioni libiche

Secondo il Tribunale dei ministri, la decisione di scarcerarlo e rimpatriarlo, anziché consegnarlo alla CPI, è emersa dal vertice in videoconferenza tenuto a Palazzo Chigi il 19 gennaio, poche ore dopo l’arresto. A comunicare i rischi concreti era stato il capo dell'Aise, Giovanni Caravelli: timori per eventuali “manifestazioni” o “arresti di cittadini italiani in Libia”, e per la sicurezza degli interessi nazionali, in particolare lo stabilimento Eni‑National Oil di Mellitah, in collaborazione con la milizia Rada Force.

Il volo ufficiale di Stato fu attivato prima ancora della formalità giudiziaria della scarcerazione, un fatto che ha alimentato dubbi sull’irrazionalità dell’intervento ministeriale e sulla volontà politica di favorire l’imputato.

Le responsabilità contestate e la protesta dei magistrati

Il Tribunale dei ministri, nelle sue circa 90 pagine, ritiene che:

  • il ministro della Giustizia Carlo Nordio non abbia dato seguito al mandato della CPI, omettendo l’intervento richiesto e restando silente nonostante fosse informato già il 19 gennaio;
  • il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi abbia deciso l'espulsione, avviando il volo di Stato, nonostante non fossero giustificate esigenze di sicurezza nazionale;
  • il sottosegretario Alfredo Mantovano sia coinvolto per aver partecipato all’organizzazione della scarcerazione e del rimpatrio, favorendo l’elusione delle investigazioni internazionali.

Il reato contestato ai tre è concorso in favoreggiamento aggravato; a Mantovano e Piantedosi si aggiunge l’accusa di peculato aggravato, mentre a Nordio viene contestata anche omissione di atti d’ufficio aggravata.

Archiviazione di Meloni, ma il dibattito politico infiamma

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni è stata archiviata: il Tribunale non ha ravvisato prove circa una sua partecipazione diretta o preparazione della decisione controversa. Tuttavia, ella stessa ha risposto che “il governo agisce sempre coeso sotto la mia guida”, ribadendo che “le scelte erano condivise” ma negate dall’esito dell’indagine.

La polemica si è inasprita anche con l’Anm, il cui presidente Cesare Parodi ha suggerito che il processo al capo di gabinetto della Giustizia, Giusi Bartolozzi, potrebbe avere ricadute politiche serie. Nordio ha replicato definendo quelle affermazioni “improprie e inaccettabili”.

Prossimi sviluppi: la palla passa alla Camera

Il 4 agosto 2025 il Tribunale dei ministri ha inviato il dossier alla Camera dei deputati, che entro 60 giorni dovrà votare se concedere l’autorizzazione a procedere contro i tre indagati. L’iter politico-legale è appena iniziato.

Una collisione

La vicenda Almasri è un caso emblematico di come la cooperazione internazionale, la politica e le esigenze di Stato possano entrare in collisione. Se da un lato c’erano i crimini atroci contestati dalla CPI, dall’altro c’erano preoccupazioni per la sicurezza italiana all’estero. Ma la scelta di scarcerare un accusato così grave ha generato accuse di scelta politica, omissione di procedura e violazione del diritto internazionale. La domanda centrale resta: tutela della sicurezza o calcolo diplomatico? Era giusto anteporre il rischio di ritorsioni al dovere di consegna alla Corte? Il voto in Parlamento dirà se quelle azioni sono penalmente rilevanti — o semplicemente incomprensibili.

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