L'ultimatum di Conte al Pd è una strada senza ritorno

- di: Redazione
 
Per essere uno che, nelle prime battute della sua permanenza a Palazzo Chigi (o, semplicemente, Chigi, come vezzosamente preferisce dire), amava ricordare agli astanti i suoi titoli accademici e gli incarichi, Giuseppe Conte sembra avere perso il contatto con la realtà.
E lo diciamo senza volere entrare nelle motivazioni, pure fondate, che il capo dei Cinque Stelle ha messo alla base del taglio netto con il Pd, ma sulle scelte strategiche, sulla metodologia di portare avanti il rapporto con il principale partito di opposizione. Che resta il Pd, mentre per Conte tale titolo è solo in ''prestito'', rivendicando un primato morale tra coloro che cercano di scalzare il governo.

L'ultimatum di Conte al Pd è una strada senza ritorno

È questo il punto: la questione morale che Conte pone alla base del suo rapporto con il Pd. Che, in fondo, è cosa normale, diremmo di buonsenso, ma che non c'entra nulla nel rapporto politico tra i vari partiti che, parlando in generale, sono divisi dall'ideologia e dal peso elettorale.
Ma se uno pone un ultimatum, dicendo all'altro (in questo caso il Pd) che deve fare pulizia al suo interno, sennò addio alle alleanze, allarga il baratro che esiste e che faticosamente era stato colmato.

Perché ergersi a giudice di quel che altri fanno tutto è fuorché un tentativo sincero di comporre le diversità, dimostrandosi invece una mossa di un più ampio disegno che si concretizzerà solo e soltanto quando Giuseppe Conte tornerà a fare quello per cui ritiene di essere il migliore sulla piazza: il leader vero dell'opposizione e, quindi, il solo, unico e intoccabile candidato alla presidenza del consiglio.
Fermo restando il diritto di ciascuno di avere delle ambizioni e di coltivarle nel modo che più sembra funzionale ai suoi progetti, la mossa di Conte appare come una violenta intrusione nelle faccende altrui, ergendosi a unico dispensatore di patenti di etica e morale. Anche perché se solo il Pd (e per esso la sua ondivaga segretaria, Elly Schlein) dovesse accettare le ''tavole della legge'' scolpite dal Mosè a cinque stelle, di fatto segnerebbe la sua fine, al di là dei tanti simpatizzanti che i Cinque Stelle hanno tra i democratici.

Non tanto perché si piegherebbe a quello che, nei fatti, è un mero ricatto politico (se vuoi vincere devi solo fare come ti dico io), ma perché ammetterebbe di avere dentro di sé non un bubbone di malaffare, ma una condizione diffusa di illegalità che, per quel che se ne sa, non esiste, almeno nei termini che hanno indotto Conte a scagliarsi contro il Pd, che si è quindi dimostrato il suo vero antagonista. Ben più, per paradossale che possa apparire, di Giorgia Meloni, di cui evidentemente di preconizza una imminente implosione.

Ma Conte va avanti per la sua strada, tanto che sembra ormai imminente la cancellazione dell'accordo di maggioranza nella Regione Puglia, con l'uscita dall'esecutivo dell'assessore pentastellato e, quindi, con la conseguente presa d'atto della crisi per la giunta guidata da Michele Emiliano, cha ci ha anche messo del suo, con dichiarazioni che ondeggiano tra l'improvvido e l'autolesionismo.
Una crisi alla Regione Puglia, oltre ai contraccolpi materiali, segnerebbe un punto di non ritorno, cui forse Giuseppe Conte non pensava nemmeno, ma che ha favorito, perseguendo non il bene dell'opposizione, ma il suo personale, nel Paese e in Europa, dove il sistema proporzionale impone scelte ben precise.
Ma, torniamo a ribadirlo, non si discute della esigenza dei Cinque Stelle di chiedere pulizia negli ormai ex alleati, ma del fatto che, per le modalità con cui questa esigenza è stata rappresentata, è un passo da cui sarà ben difficile tornare indietro.
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