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Ue, accordo finale sul gas russo: rubinetto chiuso entro il 2027

- di: Vittorio Massi
 
Ue, accordo finale sul gas russo: rubinetto chiuso entro il 2027
Ue, accordo finale sul gas russo: rubinetto chiuso entro il 2027
Dal Gnl ai gasdotti, come l’Europa prova a liberarsi da Mosca.
 
(Foto: stoccaggio di gas metano).

Bruxelles – In una trattativa notturna a Bruxelles, Consiglio Ue e Parlamento europeo hanno trovato un’intesa politica su un regolamento che vieta gradualmente le importazioni di gas naturale dalla Russia. Lo stop diventa completo in due tappe: fine 2026 per il gas naturale liquefatto (Gnl) e autunno 2027 per il gas veicolato tramite gasdotto, secondo quanto emerso dal trilogo e anticipato da fonti europee e dall’agenzia Ansa.

Il commissario all’Energia Dan Jørgensen ha rivendicato la svolta con toni categorici: l’Unione, ha spiegato, non intende tornare alla dipendenza dal gas russo e vuole chiudere in modo definitivo quella stagione.

Cosa prevede l’intesa: due tappe per dire addio al gas russo

Il compromesso raggiunto nel trilogo si innesta sul pacchetto REPowerEU e sulla proposta di regolamento presentata dalla Commissione nel giugno 2025 per eliminare le importazioni di gas russo entro la fine del 2027. Il cuore politico dell’intesa sta in tre elementi:

  • Divieto graduale e giuridicamente vincolante alle importazioni di gas russo, sia sotto forma di Gnl sia tramite gasdotto.
  • Stop totale al Gnl russo entro la fine del 2026, con un periodo di transizione per consentire ai terminal europei di riprogrammare le capacità e per verificare l’origine effettiva dei carichi.
  • Stop totale al gas via gasdotto dall’autunno 2027, anticipo rispetto al termine del 1° gennaio 2028 che compariva nella posizione iniziale dei governi.

Accanto alle date di uscita, il regolamento introduce anche nuove regole di trasparenza e controllo sui contratti: divieto di nuovi accordi di fornitura con controparti russe, progressiva cancellazione dei contratti a breve termine e, a regime, chiusura dei contratti di lungo periodo che ancora legano alcune utility europee a Gazprom.

Dalla proposta della Commissione al trilogo: come si è arrivati a qui

La decisione di chiudere il rubinetto del gas russo non nasce all’improvviso. Già nel maggio 2025 la Commissione aveva pubblicato una roadmap verso la fine delle importazioni energetiche dalla Russia, fissando l’obiettivo di uscire da tutto il gas russo entro la fine del 2027, nell’ambito di REPowerEU.

Nel giugno 2025 Bruxelles ha poi messo sul tavolo una proposta di regolamento sul phase-out del gas russo: stop ai nuovi contratti per gas e Gnl di origine russa, blocco degli acquisti spot russi entro il 2025 e spegnimento graduale dei contratti di lungo termine entro il 1° gennaio 2028. Secondo analisi della Commissione e di think tank europei, prima dell’invasione dell’Ucraina la Russia copriva circa il 45% delle forniture di gas dell’UE, scese attorno al 20% nel 2024 dopo due anni di emergenza energetica.

Il 20 ottobre 2025 il Consiglio Energia – cioè i ministri degli Stati membri – ha approvato la propria posizione: divieto legalmente vincolante su pipeline e Gnl russi, con bando totale dal 1° gennaio 2028 e regole di transizione che consentivano ai contratti a lungo termine di arrivare fino a quella data.

Il Parlamento europeo, dal canto suo, ha assunto una postura più aggressiva: in una risoluzione di ottobre e nel mandato negoziale approvato alla fine del mese, gli eurodeputati chiedevano di anticipare il phase-out, includere il divieto di stoccaggio di gas russo negli impianti europei e rafforzare le verifiche sull’origine delle molecole.

Da qui i triloghi di novembre, nei quali si è consumato lo scontro su due fronti: la data finale del bando e l’eventuale clausola di sospensione in caso di crisi di approvvigionamento. L’accordo notturno di inizio dicembre sposta in avanti l’entrata in vigore rispetto ai desideri del Parlamento, ma anticipa il calendario rispetto alla posizione prudente dei governi, concentrando la stretta sul Gnl già entro il 2026 e portando il gas di pipeline alla chiusura entro l’autunno 2027.

Un continente che ha già tagliato il cordone con Mosca

Il regolamento arriva su un terreno che è già cambiato radicalmente. Prima del 2022, Russia e UE erano legate da decenni di interdipendenza energetica. I flussi via Nord Stream e attraverso l’Ucraina assicuravano all’Europa oltre 175-180 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Oggi il quadro è rovesciato:

  • Nel 2024 i flussi di gas russo verso l’UE sono crollati a poche decine di miliardi di metri cubi l’anno, contro i picchi pre-guerra.
  • Nel 2025, dopo la fine del transito attraverso l’Ucraina, TurkStream è rimasto l’unico grande corridoio di gasdotto russo verso l’Europa, con circa 16 miliardi di metri cubi movimentati nei primi undici mesi dell’anno.
  • La Russia resta però ancora un fornitore importante di Gnl, soprattutto per alcuni terminal in Europa occidentale.

A compensare il calo di Mosca sono intervenuti tre fattori: più rinnovabili, meno consumo di gas e diversificazione dei fornitori. Fra il 2021 e il 2023 la quota del gas nel mix energetico europeo è scesa, mentre quella delle energie rinnovabili è salita. Nello stesso periodo la domanda di gas dell’industria si è ridotta di quasi un quinto, anche a causa dei prezzi elevati che hanno spinto molte aziende a tagliare o delocalizzare la produzione.

Dal lato delle importazioni, Norvegia è diventata il principale fornitore di gas via pipeline dell’Unione, mentre gli Stati Uniti si sono imposti come primo fornitore di Gnl, con una quota superiore al 50% delle importazioni europee di gas liquefatto nel 2025. La Russia, pur in calo, resta seconda per Gnl, con una quota attorno al 10-15% a seconda dei trimestri.

Gnl, terminal e dogane: il nuovo fronte della guerra del gas

Se i gasdotti sono ormai in parte fermi e sotto sanzioni, la vera partita si gioca oggi sul Gnl, il gas liquefatto trasportato via nave. Il regolamento concordato in trilogo accelera su tre fronti:

  • Divieto di importazione di Gnl russo entro la fine del 2026, incluse le forniture indirette, cioè i carichi che cambiano bandiera o vengono miscelati lungo la catena logistica.
  • Regole più dure per i terminal Gnl europei, con il divieto di offrire servizi a lungo termine a soggetti russi, per evitare che Mosca “blocchi” capacità preziosa e ostacoli l’accesso di altri fornitori.
  • Obbligo di trasparenza e controlli doganali rafforzati su origine, volumi e percorsi dei carichi, per ridurre il rischio che gas russo entri in Europa camuffato da prodotto di altri Paesi.

Questi elementi si agganciano al più ampio sistema di sanzioni: negli ultimi pacchetti il Consiglio ha già iniziato a introdurre un meccanismo di autorizzazione preventiva e di tracciabilità per le importazioni di gas, non solo russo, imponendo agli operatori di fornire alle autorità nazionali informazioni dettagliate su contratti, quantità e origine del combustibile.

Gli Stati membri divisi: falchi, prudenti e irriducibili

Dietro le quinte del compromesso c’è un’Europa divisa in tre blocchi:

  • I “falchi”, guidati da Paesi come Polonia e Stati baltici, chiedono da anni di chiudere il canale energetico con Mosca il prima possibile, anche a costo di qualche tensione sui prezzi. Per questi governi il gas russo è soprattutto uno strumento di pressione geopolitica.
  • I “prudenti”, fra cui Germania, Italia e altri grandi paesi industriali, temono shock improvvisi sui mercati e chiedono tempi e clausole di flessibilità per non mettere a rischio la competitività delle imprese europee.
  • Gli “irriducibili”, come Ungheria e in parte Slovacchia, hanno osteggiato per mesi qualunque accelerazione, rivendicando la forte dipendenza dai flussi russi e il timore di costi insostenibili per famiglie e industrie.

La posizione dei governi, formalizzata nel Consiglio Energia di ottobre, rifletteva soprattutto le preoccupazioni del secondo e del terzo gruppo, mantenendo il 2028 come data finale del bando e garantendo margini di transizione generosi per i contratti esistenti.

Il Parlamento, al contrario, ha spinto per allineare la normativa alla retorica politica espressa fin dal 2022: fine della dipendenza energetica dalla Russia “al più tardi” entro il 2027, con divieti più stringenti su stoccaggi e transiti di petrolio e gas russi. Nelle settimane precedenti all’accordo le commissioni competenti a Strasburgo hanno insistito su questo punto, chiedendo alla Commissione e alla presidenza di turno di mediare a favore di un calendario più ambizioso.

La clausola di emergenza: la valvola che fa discutere

Uno dei nodi più sensibili del negoziato è stata la clausola di sospensione: la possibilità di congelare temporaneamente alcune disposizioni del bando in caso di emergenza di approvvigionamento, per evitare blackout o crisi acute sulle forniture.

Secondo indiscrezioni di Bruxelles filtrate durante i triloghi di novembre, il compromesso emergente si articola così:

  • Attivazione possibile solo in caso di grave crisi di sicurezza energetica, riconosciuta a livello europeo (non su richiesta unilaterale di un singolo Stato).
  • Durata limitata e rinnovabile solo con decisione politica esplicita di Consiglio e Commissione, per evitare che la clausola diventi una scappatoia permanente.
  • Trasparenza sulle deroghe: ogni sospensione dovrebbe essere accompagnata da obblighi di notifica e da un piano per tornare il prima possibile alle regole ordinarie.

Il Parlamento ha accettato l’esistenza di una valvola di sicurezza, ma chiede che sia strettamente circoscritta e temporalmente limitata, per non vanificare la forza del segnale politico verso Mosca.

Cosa resta del gas russo in Europa: numeri, porti e nuove rotte

Nonostante il crollo dei volumi, la Russia continua ancora a giocare un ruolo non trascurabile nel mix europeo. Alcuni numeri aiutano a capire cosa il nuovo regolamento punta ad azzerare:

  • Nel 2024 la quota del gas russo sul totale del gas consumato nell’UE è stimata attorno al 14-20%, sommando pipeline e Gnl.
  • Nel 2025 le esportazioni di gas russo via gasdotto verso l’Europa sono scese intorno ai 20 miliardi di metri cubi, contro gli oltre 180 miliardi di prima della guerra.
  • Le importazioni di Gnl dagli Stati Uniti hanno superato la metà del totale europeo, mentre la Russia si colloca intorno a poco più di un decimo delle forniture di gas liquefatto.

In parallelo, nuovi progetti infrastrutturali – dal potenziamento dei terminal Gnl in Europa occidentale ai gasdotti dal Mediterraneo orientale e dal Nord Africa – stanno ridisegnando la geografia energetica del continente. Il regolamento sul phase-out del gas russo si tiene stretto a questa traiettoria, nella convinzione che entro il 2027-2028 la rete europea possa reggere senza il contributo delle molecole russe.

Reazioni politiche, industrie preoccupate e pressione della società civile

Dal punto di vista politico, l’intesa segna una vittoria visibile per la Commissione, che da mesi ripete che l’Europa non tornerà “alla normalità” con il gas russo nemmeno in caso di cessate il fuoco in Ucraina. Dan Jørgensen ha sottolineato che la Russia è considerata ormai un fornitore inaffidabile, dopo anni di tagli unilaterali e ricatti sui prezzi.

Nel Parlamento europeo, la presidente Roberta Metsola e diversi gruppi politici hanno salutato l’accordo come un passo decisivo per togliere risorse alla macchina bellica del Cremlino, ribadendo che l’energia è a tutti gli effetti un fronte del conflitto.

Le industrie energivore, invece, guardano al calendario con cautela. Le associazioni di categoria temono che la combinazione di fine del gas russo e regole climatiche più rigide possa aumentare il divario di competitività fra Europa e Stati Uniti, dove energia e gas liquefatto restano più economici. Le imprese chiedono soprattutto certezza regolatoria, investimenti sulle reti e sostegni mirati per gli impianti più esposti.

Sul fronte della società civile e delle ong ucraine, l’intesa viene accolta come un avanzamento ma non come un punto di arrivo. Diverse piattaforme in difesa dell’Ucraina avevano chiesto un bando totale sui combustibili fossili russi entro il 2027 o addirittura prima, avvertendo che ogni anno di transizione in più si traduce in miliardi di euro di entrate per il bilancio di Mosca.

Cosa succede adesso: le prossime tappe e gli scenari

L’accordo raggiunto nel trilogo non è ancora la parola fine. I prossimi passi sono chiari:

  • Conferma politica da parte degli ambasciatori dei 27 (Coreper) sul testo di compromesso.
  • Voto formale del Consiglio, con l’adozione del regolamento nella configurazione Energia o Competitività.
  • Voto in plenaria del Parlamento europeo, con probabile approvazione entro la fine della legislatura.
  • Pubblicazione del regolamento nella Gazzetta ufficiale e entrata in vigore nel 2026, con l’avvio delle scadenze previste per contratti, Gnl e gasdotti.

Se il calendario sarà rispettato, alla fine del 2027 il gas russo avrà sostanzialmente lasciato il mercato europeo, fatta salva la possibilità di deroghe strettamente temporanee in caso di emergenza. A quel punto l’attenzione politica si sposterà su altri nodi: il phase-out del petrolio russo residuo, il dossier uranio e nucleare e, più in generale, la capacità dell’Europa di tenere insieme sicurezza energetica, transizione verde e competitività industriale.

Ma il segnale che arriva oggi da Bruxelles è netto: il tempo del gas russo in Europa è finito, questa volta non solo a parole ma scolpito in un atto giuridicamente vincolante.

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