Treccani: rispetto è la parola dell'anno 2024
- di: Cristina Volpe Rinonapoli
C’è qualcosa di potente e al tempo stesso fragile nella parola “rispetto”. La Treccani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, l’ha scelta come parola dell’anno per il 2024, cogliendo un segnale profondo che emerge dal nostro tempo. È una parola che racchiude molteplici significati, un caleidoscopio di sfumature che vanno dalla stima personale alla considerazione verso culture e istituzioni, fino a un sentimento più universale di attenzione e riguardo per l’altro. Una parola, se vogliamo, di cui abbiamo riscoperto l’urgenza, spesso proprio per la sua assenza.
Treccani: rispetto è la parola dell'anno 2024
Non è difficile intuire perché questa scelta risuoni con tanta forza oggi. Viviamo in un’epoca in cui il confronto, anziché essere dialogo, tende troppo spesso a trasformarsi in scontro. Lo vediamo nelle piazze virtuali dei social network, dove il dibattito si riduce a insulti e provocazioni. Lo sentiamo nelle tensioni globali che attraversano continenti e frontiere, nei conflitti che si accendono per identità culturali o religiose, nei cortocircuiti istituzionali che mettono in crisi la fiducia nei meccanismi democratici. Lo vediamo perfino nel quotidiano, nei piccoli gesti che rivelano quanto sia facile dimenticare che l’altro non è mai un semplice ostacolo, ma una persona con cui condividiamo spazio, tempo, umanità.
Il rispetto, allora, non è solo un sentimento, ma una scelta consapevole. È una lente attraverso cui guardare il mondo, un modo di vivere che richiede esercizio e attenzione. Richiede di fermarsi, ascoltare, accettare che l’altro possa essere diverso da noi e che questa diversità non sia una minaccia, ma una ricchezza. È un concetto che attraversa le culture, ma che oggi, nella sua universalità, si trova costantemente messo alla prova. Pensiamo al rispetto per l’ambiente, ormai cardine di ogni discussione sul futuro del pianeta; al rispetto per le differenze di genere, di orientamento sessuale, di appartenenza politica. Pensiamo al rispetto per il lavoro, per il sacrificio, per le radici che ci hanno permesso di essere ciò che siamo.
La scelta della Treccani arriva in un momento cruciale, quasi come un monito. È come se l’Istituto ci chiedesse di interrogarci: siamo ancora capaci di rispetto? Non è una domanda retorica, né una provocazione facile. È una domanda che chiama in causa ciascuno di noi, come individui e come parte di una collettività. Perché il rispetto non è solo uno stato d’animo, ma un atteggiamento che si costruisce attraverso gesti concreti. È nelle parole che scegliamo, nei modi in cui ci relazioniamo agli altri, nel modo in cui rispettiamo – o trascuriamo – le regole del vivere civile. È nella capacità di riconoscere i diritti dell’altro senza per questo sentire che i nostri vengano minacciati.
Nel 2024, il rispetto si impone come parola dell’anno non perché sia un valore scontato, ma perché è un valore in pericolo. Una conquista mai definitiva, che richiede impegno costante per essere rinnovata e custodita. È un tema che tocca trasversalmente ogni ambito della nostra vita: dall’educazione dei più giovani, che imparano a rispettare osservando gli adulti, alle dinamiche politiche, dove il rispetto dovrebbe essere il presupposto di ogni confronto, non una concessione occasionale. E tocca anche la sfera della memoria, perché rispettare significa riconoscere la dignità di chi ci ha preceduti, di chi ha costruito il terreno su cui camminiamo oggi.
In un tempo che sembra premiare la velocità e l’aggressività, in cui spesso la gentilezza e la riflessione sono viste come debolezze, riscoprire il rispetto è un atto di resistenza. Forse è proprio questo che la Treccani ha voluto dirci con la sua scelta: non dimenticate il rispetto, non trattatelo come un accessorio, ma come il fondamento di ogni relazione umana. È una lezione antica, eppure più attuale che mai. Una lezione che ci ricorda che il rispetto non è solo il riflesso della nostra civiltà, ma anche la misura della nostra umanità.