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Inapp: occupazione femminile cresce, ma il gender gap resiste

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Inapp: occupazione femminile cresce, ma il gender gap resiste
Nonostante i progressi registrati negli ultimi anni, l’occupazione femminile in Italia resta una corsa ad ostacoli. I numeri parlano chiaro: se da un lato il tasso di occupazione femminile tra i 15 e i 64 anni è salito al 52,5% (+1,4 punti percentuali rispetto all’anno precedente), dall’altro il divario con gli uomini rimane stabile, con una differenza media di 18 punti percentuali.

Inapp: occupazione femminile cresce, ma il gender gap resiste

Il Gender Policy Report dell’Inapp non lascia spazio a equivoci: le donne continuano a pagare un prezzo altissimo sul mercato del lavoro. Tra contratti precari, part time e carichi familiari sbilanciati, il quadro italiano si conferma tra i più difficili in Europa per le lavoratrici. Nel primo semestre del 2024, su oltre 4,2 milioni di nuove assunzioni, solo il 42% ha riguardato donne. Un dato che già di per sé denuncia uno squilibrio, ma che si fa ancora più critico analizzando i dettagli: il 49,2% dei contratti femminili è a part time, quasi il doppio rispetto agli uomini (27%). Non solo: il tempo indeterminato resta un miraggio per molte donne, coinvolgendo solo il 13,5% delle assunzioni femminili, contro il 18,3% di quelle maschili. La modalità più diffusa è il contratto a termine, spesso associato al part time, un mix che colpisce il 64,5% delle lavoratrici, rispetto al 33% degli uomini.

A gravare ulteriormente sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro è il carico di cura. Le donne rappresentano il 64% dell’inattività totale, e nel 34% dei casi sono fuori dal mercato proprio per occuparsi della famiglia. Questo dato esplode nella fascia d’età 25-34 anni, la più rilevante per la natalità: il 43,7% delle donne non lavora per motivi di cura, contro appena il 4% degli uomini. Per gli uomini, invece, la motivazione prevalente dell’inattività resta lo studio o la formazione. Il divario non si ferma qui. A seguito della maternità, il 16% delle donne smette di lavorare, mentre per gli uomini il dato è irrisorio (2,8%). I congedi parentali, richiesti per l’80% da donne, rappresentano una scelta necessaria ma penalizzante, essendo coperti solo parzialmente a livello retributivo. Questo alimenta un gender pay gap che si traduce in una differenza media di reddito di 5mila euro annui tra uomini e donne.

Un altro aspetto cruciale è la qualità del lavoro. Il lavoro povero colpisce tre volte di più le donne rispetto agli uomini (18,5% contro 6,4%). La combinazione di basse retribuzioni orarie e bassa intensità lavorativa – spesso forzata – contribuisce a relegare molte lavoratrici in una condizione di fragilità economica. I dati non si spiegano solo con le dinamiche del mercato, ma riflettono anche una questione culturale. La distribuzione dei carichi familiari, il ruolo delle politiche di welfare e la persistenza di modelli tradizionali continuano a giocare un ruolo decisivo. Politiche come gli incentivi all’assunzione, che hanno interessato il 24,4% dei nuovi contratti nel 2024, non bastano a scardinare un sistema che, di fatto, penalizza le donne.

La strada per l’uguaglianza nel lavoro, dunque, resta lunga. Non si tratta solo di aumentare i numeri, ma di migliorare la qualità e la stabilità dell’occupazione, promuovendo un riequilibrio nei carichi familiari e incentivando una maggiore condivisione delle responsabilità. Un passo necessario non solo per le donne, ma per l’intera società.
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