Tlc: clamorosa frattura in Agcom su una delibera pro-TIM

- di: Redazione
 
Ne parliamo con Innocenzo Genna, Giurista ed esperto di Internet e telecomunicazioni
 
In un organismo collegiale non è infrequente che qualcuno dei suoi componenti si esprima in modo contrario rispetto agli altri. Ci possono essere motivi di svariata natura, che in ogni caso devono essere inseriti in una dialettica di rispetto reciproco e collaborazione. Cose che dovrebbero essere ulteriormente accentuate quando l'organismo, come è l'Autorità per le Comunicazioni, si occupa di questioni fondamentali per un intero Paese e non solo di alcuni settori, come appunto quelle legate al campo delle Tlc. Ma è rarissimo, quasi unicum, che, per spiegare il voto contrario su una delibera a favore della TIM, comunque approvata, si ricorra ad un comunicato. Come ha deciso di fare Elisa Giomi, commissaria dell'Agcom (nella foto), che appunto con un comunicato ufficiale ha rivelato la sua decisione adducendo motivazioni che indurrebbero a retropensieri anche allarmanti sulla genesi di una specifica delibera che sembra essere stata adottata senza che su di essa ci sia stata una approfondita istruttoria e, quindi, mancando di quei requisiti di chiarezza e di equilibrio, formale e sostanziale, che essa avrebbe imposto. Con il voto favorevole alla delibera che riguarda la TIM di fatto si apre ad una ''consultazione pubblica'' su una tematica di interesse generale (quindi anche per privati cittadini e imprese): lo sviluppo delle connessioni Internet ad altissima velocità. L'atto riguarda la strategia che Tim intende portare avanti con il coinvolgimento di altre aziende, in un rapporto di partnership che la vedrebbe comunque, e per oggettive condizioni ''di partenza'', in una posizione privilegiata, quasi dominante.

Tlc: clamorosa frattura in Agcom su una delibera pro-TIM

Elisa Giomi, per spiegare la sua decisione, è andata giù pesante, dicendo che il suo no si fonda su ragioni di merito e metodo. Per quanto riguarda il metodo, la commissaria all'Agcom ha affermato che "le deliberazioni più importanti sul coinvestimento sono state prese dal Consiglio (e cioè dall'organo decisionale dell'AgCom) sulla base di una documentazione parziale e tuttavia spesso pari a centinaia di pagine, rese disponibili solo pochi giorni prima della riunione consiliare". Ovvero, i commissari sono stati chiamati a deliberare sulla base di una documentazione che non era completa e, soprattutto, che TIM ha inviato non nella sua forma definitiva, ma sottoponendola ad aggiornamento. Prassi che, pare di capire dalle parole di Giomi, non è regolare o, in ogni caso, non può essere esente da critiche non rendendo agevole, a chi è chiamato ad esprimersi, una visione d'assieme e soprattutto nella sua forma definitiva. Poi, comunque, se la macchina della Commissione - di cui fanno parte, oltre ai suoi componenti ed al presidente, anche i funzionari e i tecnici che contribuiscono all'istruttoria delle pratiche - non cammina in armonia si rischiano dei black out che non sono solo di comunicazione, ma soprattutto di contenuto. E la delibera in questione qualcosa da pensare o su cui riflettere l'ha data, anche per la delicatezza della materia affrontata. I commissari, ha detto Giomi, si sono trovati ad esprimersi su una questione (l'offerta di servizi sulla tratta primaria della rete ottica di accesso) ''solo il 3 gennaio'', dopo il via libera dei tecnici su una materia ''di cui Tim è quasi monopolista". Quindi, par di capire, la luce verde data dai tecnici, con tempi strettissimi riservati ai commissari per l'esame della documentazione, ha avuto un ''impatto potenzialmente rilevante sul coinvestimento". Oltre ad essere una delibera dai contenuti meritevoli della massima attenzione (che sembra rientrare appieno nelle strategie di Tim, mirate a rafforzare la sua posizione in questo settore), quella proposta all'Agcom nella seduta del 3 gennaio è, ad avviso di Giomi, non rispettosa delle norme europee in materia. Tanto per non girare intorno al cuore del suo pensiero, Elisa Giomi ha spiegato di nutrire ''seri dubbi sul fatto che l’offerta di Tim possa essere annoverata tra le forme di coinvestimento previste dall’articolo 76 del Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche". E l'affondo finale è ancora più diretto, al limite della durezza, quando la commissaria ha affermato che ''il coinvestimento di Tim consiste in una sorta di affitto di lungo periodo di grandi quantità di linee agli operatori coinvestitori, che al termine del periodo di coinvestimento non risulteranno proprietari neppure di una linea. La rete, realizzata anche grazie al loro contributo, resterà proprietà esclusiva del monopolista Tim".

Quindi, una strategia che, in un certo arco di tempo, svuoterà d'ogni efficacia l'azione di coinvestitori che saranno, via via, ridotti a semplici comparse nel copione che TIM ha scritto per sé e che la vede protagonista indiscussa della connessione via fibra. Poi, ha aggiunto la commissaria, la deregolamentazione del monopolista, a fronte di una offerta di coinvestimento capace di attrarre investimenti da parte di altri operatori, si traduce in un ''meccanismo di incentivazione che punta anche ad assicurare l'interesse pubblico''. E su questo Gioni ha voluto essere estremamente chiara: ''Tale interesse qui consiste nella realizzazione di una rete tecnologicamente neutra e aperta, distribuita in modo capillare su tutto il territorio nazionale. E invece l'offerta di coinvestimento di TIM non va in questa direzione, non contribuisce alla copertura delle aree grigie, né allo sviluppo delle reti di 5G, certamente obiettivi strategici per il Paese''. Davanti ad una materia così complessa e che avrebbe imposto una analisi approfondita, la documentazione (''parziale e tuttavia spesso pari a centinaia di pagine'') è stata disponibile solo pochi giorni prima della riunione del consiglio, nonostante le richieste di rinvio formulate dalla stessa Giomi e che sono rimaste senza esito. Anzi, sono state respinte ''senza motivazione nel merito''.

Innocenzo Genna, giurista e uno dei massimi esperti di internet e comunicazioni (in foto), per spiegare cosa sia il coinvestimento, cui TIM vorrebbe ricorrere, con il chiaro obiettivo di rafforzare la sua posizione, ha ricordato che esso fa parte del nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche. Uno strumento che consente agli operatori dominanti di essere deregolati di fronte ad investimenti in fibra ottica condivisi con altri operatori. Una condizione di privilegio prevista affinché i soggetti dominanti nel settore delle telecomunicazioni si determinino, offrendo loro l'incentivo della deregolamentazione, ad ammodernare le proprie reti legando l'investimento al coinvolgimento finanziario di altri operatori. Un modo per spingere ad investire, ma soprattutto per salvaguardare i principi basilari della concorrenza.




Dott. Genna, la normativa europea in materia di concorrenza nel settore delle telecomunicazioni è chiarissima. Eppure, ciclicamente, si assiste almeno in Italia a qualche iniziativa che mira a scavalcarla, a privarla di efficacia facendo ricorso alle scappatoie delle legislazioni nazionali. È un problema di cultura o esclusivamente giuridico, il fatto che si cerchi di non riconoscere la prevalenza della legislazione europea?
Diciamo che nel caso specifico la situazione è già di suo controversa, poiché la normativa europea sul coinvestimento (l’art. 76 del Codice Europeo) non è molto chiara e quindi richiederebbe uno sforzo di attenzione ancora maggiore da parte delle autorità nazionali. L’incertezza qui è data dal fatto che l’art. 76 annovera quale coinvestimento, oltre ai casi classici della joint venture e del network sharing, anche una fattispecie atipica, denominata “accordi di acquisto che comportano diritti specifici di carattere strutturale”: in pratica si tratta di accordi di accesso ad infrastrutture nei quali l’acquirente godrebbe di poteri di governance comparabili a quelli del proprietario della rete. Tuttavia, al di là della atipicità del caso, il modello proposto da TIM appare comunque lontano da questa fattispecie, perché i c.d. “coinvestitori” di TIM si troveranno ad essere nulla più che acquirenti di un servizio di acquisto di fibra per un dato periodo, senza nessun diritto alla rete nel suo complesso, che resterà esclusiva proprietà di TIM. E’ evidente che l’Unione Europea non mirava a questo risultato quando ha ideato l’istituto del coinvestimento. L’idea era quella di far coinvestire gli operatori, nel caso del coinvestimento di TIM invece troviamo solo quest’ultima a fare investimenti, gli altri pagano OPEX e basta. Peraltro, l’offerta di coinvestimento di TIM non è legata ad un minimo di accettazione da parte di terzi, ma può andare avanti anche con zero coinvestitori. Quindi, non è un vero coinvestimento, è solo un’offerta commerciale che cerca di sfruttare un cavillo europeo (all’interno dell’art. 76) per ottenere una deregolamentazione non dovuta.

L'interesse generale dovrebbe essere un fatto oggettivo. Ciascuno Stato, nell'ambito della normativa europea, dovrebbe perseguire sempre e comunque le migliori condizioni per i propri amministrati. Questa condizione sarebbero rispettate se la delibera in questione, che di fatto agevola il percorso di Tim, dovesse trovare piena attuazione?
Penso che bisognerebbe incentivare maggiormente le fattispecie del network sharing e delle joint ventures, che sono quelle che hanno avuto maggior successo in Europa e che sono state difatti lo spunto da cui è partita l’idea del coinvestimento europeo del nuovo Codice. Ad esempio, avrebbe senso che TIM ed Open Fiber, i due maggiori operatori infrastrutturali italiani, usassero questi modelli per diminuire i costi di scavo nelle aree grigie. Detto questo, se TIM invece ritiene necessario andare avanti con il suo modello, occorrerebbe rivederlo completamente facendo in modo che gli acquirenti abbiano dei veri diritti di cogestione della rete, oltrechè poter accedere alla stessa in modalità tali da poter competere con TIM. Al momento tutto questo non è previsto, il coinvestimento è una forma di “prendere o lasciare” da parte di TIM, oltre ai ritocchi di AGCOM che, però, non appaiono sufficienti a ribilanciare la situazione.
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