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Cripto senza freni? Stablecoin, il rischio è la moneta parallela

- di: Bruno Legni
 
Cripto senza freni? Stablecoin, il rischio è la moneta parallela
Stablecoin e rischio moneta parallela: cosa sta succedendo

Il boom delle valute digitali “stabili” inquieta i regolatori: l’Osservatorio Cpi lancia l’allarme su volatilità, dollaro e sovranità monetaria.

Crescita rapida, rischi elevati

Gli stablecoin promettono stabilità nel turbolento mondo delle criptovalute, ma secondo l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani si tratta di una promessa fragile, gravida di rischi per i sistemi finanziari e le autorità monetarie. Il report firmato da Giampaolo Galli, Enrico Franzetti e Luca Peviani prende di petto l’argomento: “Una nicchia in crescita esponenziale, già oggi in grado di influenzare i rendimenti dei titoli Usa”, avvertono gli autori.

Come puntualizza il documento dell’Osservatorio CPI, gli stablecoin sono criptovalute ancorate a un asset stabile, in genere il dollaro, per attenuarne la volatilità. Ma dietro la loro apparente semplicità – un cripto-dollaro sempre pari a un dollaro – si cela un universo opaco, tecnicamente complesso e potenzialmente destabilizzante.

“Dal 2019 gli stablecoin sono cresciuti di 19 volte”, evidenziano Galli, Franzetti e Peviani, ricordando come oggi rappresentino oltre il 7% del mercato cripto, con una capitalizzazione attorno ai 230 miliardi di dollari. I più noti, Tether (USDT) e USD Coin (USDC), superano insieme i 210 miliardi, ma le implicazioni vanno oltre i numeri.

Secondo l’indagine dell’Osservatorio CPI, gli stablecoin sono già usati per operazioni speculative interne all’universo cripto, ma anche per trasferimenti internazionali, come le rimesse degli emigrati, dove promettono di abbattere i costi rispetto ai circuiti tradizionali.

Il problema? È tutto nelle riserve. “Se non sono sufficientemente garantite, il sistema può collassare”, ammoniscono gli autori, citando il caso di TerraUSD, evaporato nel 2022. Anche Tether ha mostrato in passato criticità nell’ancoraggio al dollaro. L’unico antidoto, osserva l’Osservatorio CPI, è una regolazione stringente e trasparente. Ma proprio qui si apre il divario tra Europa e Stati Uniti.

Europa rigorosa, America permissiva

Come sottolinea il report, il MiCAR, il regolamento europeo in vigore dal 2023, punta al principio “stessa attività, stessi rischi, stesse regole”. Classifica gli stablecoin in due categorie: gli EMT, garantiti da una sola valuta (come USDC), e gli ART, agganciati a un paniere di attività.

“L’Europa vieta il pagamento di interessi, impone riserve equivalenti al valore nominale e consente alla BCE di bloccarne l’uso in caso di minacce alla sovranità monetaria”, scrivono Galli, Franzetti e Peviani. La stretta è evidente: in Italia il recepimento è avvenuto nel giugno 2024, affidando il controllo a Bankitalia e Consob, con sanzioni severe per chi sgarra.

Dall’altra parte dell’Atlantico, invece, il Genius Act, promosso dal Congresso e appoggiato da Trump, ha un impianto ben più “business friendly”. “Si occupa solo degli stablecoin di pagamento e ignora quelli algoritmici e gli altri cripto-asset”, evidenziano gli autori. Nessuna supervisione della SEC, niente prospetti, poca attenzione alla tutela del consumatore. L’obiettivo è geopolitico: “Rafforzare il dominio del dollaro”, come dichiarato esplicitamente dalla Casa Bianca.

Il paradosso della moneta privata

Il team dell’Osservatorio CPI rivela che, dietro l’apparente efficienza degli stablecoin, si cela un rischio sistemico: “Se gli emittenti non sono in grado di garantire la convertibilità, si apre la strada a una crisi di fiducia e a una corsa agli sportelli, con effetti a catena sui mercati”.

Ma il punto più controverso, secondo Galli, Franzetti e Peviani, è la “non unicità” della moneta: un ritorno all’era del free banking, dove ogni soggetto privato poteva emettere moneta. “Se gli stablecoin diventassero largamente accettati come mezzo di pagamento, potremmo trovarci di fronte a un sistema parallelo, dove il valore della moneta dipende dal rischio percepito dell’emittente”, scrivono.

Il rebus per i regolatori

L’Osservatorio CPI mette in guardia: “Serve una vigilanza attenta sulle riserve, chiarezza normativa e strumenti per impedire che gli stablecoin compromettano la politica monetaria”. Da questo punto di vista, l’Europa si muove in direzione opposta rispetto agli Stati Uniti, dove Trump ha firmato due ordini esecutivi per fare delle cripto un fiore all’occhiello della nuova economia americana.

Il paradosso, come evidenziano gli autori, è che gli stablecoin nascono per ridurre la volatilità delle cripto, ma possono introdurre nuovi rischi, dalle attività illecite (32 miliardi di dollari solo nel 2024) alla destabilizzazione dei tassi d’interesse. Anche la Banca dei Regolamenti Internazionali ha suonato l’allarme: le riserve in dollari degli emittenti influenzano già oggi i rendimenti dei Treasury Usa.

Una moneta “ibrida” da maneggiare con cura

“Gli stablecoin colmano un vuoto, ma possono aprirne altri”, scrivono Galli, Franzetti e Peviani in chiusura. Il loro è un monito secco: “Senza regole efficaci, trasparenza e vigilanza, queste cripto apparentemente stabili rischiano di minare l’intero sistema finanziario”.

Una riflessione che pesa, soprattutto in un momento storico in cui la politica monetaria è tornata centrale e la competizione globale per il controllo del denaro si gioca anche sul campo virtuale.

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