Nonostante Barcellona, la Spagna vola

- di: Marcello Memoli
 

La percezione, mai brillante, che in Italia si ha della Spagna è stata negli ultimi anni ulteriormente offuscata da diversi avvenimenti che hanno calato un telone grigio su un mercato ancora relativamente inesplorato dalle nostre PMI.

Nonostante ciò, il paese iberico non ha mai smesso di essere uno dei nostri primissimi partner commerciali ed assorbe un volume di esportazioni che è largamente superiore a quello verso Paesi emergenti, comunemente avvertiti come più promettenti, essendo il nostro quinto sia mercato di sbocco delle esportazioni italiane, che mercato di provenienza delle nostre importazioni, chiudendo il 2016 con un interscambio con l’Italia di superiori ai 40 miliardi di euro, con sensibile crescita del 5,6% rispetto al 2015, importazioni del 8,7% e le esportazioni un 4,3%.

La recessione è stata forte a Madrid, con una dura contrazione del PIL (–3,8% nel 2009, -0,8% nel 2010, -0,6% nel 2011, -1,6% nel 2012 e -1,2% nel 2013), ma con un timido accenno nel 2014, nel 2015 la Spagna è tornata ad essere una delle mete preferite per gli investimenti esteri in Europa. Una tendenza che si prevede rimanga invariata per tutto il decennio.

I dati mostrano il consolidamento della ripresa economica, con una crescita al 3,2% sia nel 2015 che nel 2016 (il doppio della media UE), grazie alla ripresa della domanda interna, l’aumento degli investimenti nel settore edilizio, le migliorate condizioni del credito a imprese e famiglie, oltre a fattori esogeni come il basso costo del petrolio, la debolezza dell’euro a beneficio delle esportazioni e la disponibilità di capitali a bassi tassi di interesse). Ma anche per le misure adottate dal primo Governo Rajoy.

Nel mercato del lavoro, con l’ultima riforma, l’esecutivo ha introdotto nuove norme ispirate ad una maggiore flessibilità a impulso della competitività delle imprese e finalizzate alla riduzione della disoccupazione, con un innovativo contratto per le nuove assunzioni nelle PMI, facilitazioni e sgravi per le assunzioni di giovani e disoccupati di lunga durata, maggiore libertà d’azione per l’impresa in sede di riorganizzazione del lavoro e la prevalenza degli accordi di impresa su quelli nazionali.

In campo fiscale, il Governo ha dato impulso alla crescita e all’occupazione, attraverso il taglio alle imposte per un ammontare di circa 7 miliardi di euro tanto nell’IRPEF (riduzione media del 12,5% sull’imposizione totale), come nelle Imposte sulle Società (per le quali l’imposizione è passata dal 30% al 25).

Il settore bancario è stato profondamente riformato e risanato attraverso la ricapitalizzazione delle entità finanziarie e la liquidazione di istituti di fatto falliti, nonché tramite l’attivazione di una bad bank per assorbire asset tossici in portafoglio agli istituti bancari dissestati e la elaborazione di piani di ristrutturazione per le entità bancarie che hanno fatto da aiuti pubblici.

Anche altri indicatori, oltre alla crescita del PIL, testimoniano il felice momento economico della Spagna negli ultimi 3 anni. La disoccupazione, scesa stabilmente al di sotto del 20%, con la creazione di più di 1,5 milioni di nuovi posti di lavoro negli ultimi tre anni; i numeri del mercato turistico (nel 2017 la Spagna ha accolto 82 milioni di turisti, segnando un nuovo record storico), la vendita di automobili, la forte ripresa del settore immobiliare, al record delle visite ai musei spagnoli, dimostrano che il paese è oggi uscito dalla crisi con solide credenziali economiche.

Tali risultati sono tanto più significativi nonostante l’incertezza politica, novità per la Spagna, che ha accompagnato il Paese negli ultimi due anni.

Se il 2016 fu l’anno del governo Rajoy con un’agognata investitura dopo dodici mesi di governo in funzione, nel 2017 protagonista assoluta è stata la crisi catalana portando sulla ribalta internazionale una regione che ha un peso specifico di assoluto rilievo per l’economia spagnola, dal momento che produce oltre 1/5 del PIL nazionale e versa ben 16 miliardi all’anno di tasse nelle casse di Madrid.

Venti di rivolta che hanno generato timori anche a Roma, considerando che fra il 2010 ed il 2015, sono stati investiti in Catalogna 256 milioni di euro Italiani e ben l’80% delle imprese italiane con sede propria sul territorio spagnolo si trovano a Barcellona e dintorni, portando nel 2016 l’interscambio commerciale fra Italia e Catalogna a oltre 12,2 miliardi di euro con un export di 6,3 miliardi di euro vs un import di prodotti catalani che si è attestato sui 5,9 miliardi. In questi anni, i big player italiani del mercato sono riusciti a consolidare posizioni di eccellenza in terra iberica. Nomi come Enel, Mediaset, Autostrade o Atlantia sono ormai pilastri della economia ispanica. Ma la Pmi italiana ha ancora molto spazio disponibile nel mercato spagnolo.

Mercato che per la sua prossimità linguistica e geografica, unita alla forte propensione all’importazione nelle fasi di crescita economica e la sua natura come mercato di consumatori a noi molto affini per cultura e costumi, se correttamente approcciato, può risultare terreno ideale per quell’ampliamento della nostra base di imprese esportatrici.

Le relazioni commerciali fra i due paesi hanno una caratteristica di forte reciprocità, con relazioni basate de un forte intercambio interindustriale, dove qualsiasi prodotto riesce ad essere venduto o comprato. Sono mercati simili che hanno raggiunto un solido livello di stabilità e fluidezza.

A livello industriale, la struttura produttiva delle imprese spagnole, molto più flessibile di quelle italiane ne fa un ottimo strumento di produzione per serie ridotte in minor tempo. Nel settore servizi, la capacità di creare modelli scalabili, nella ristorazione, nei servizi sanitari, nel settore legale, possono essere fonte di solida ispirazione per l’imprenditore italiano.

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