Un prezzo da 421 dollari ad azione, una lettera interna e un messaggio al mercato: “qui non si gioca più in piccolo”.
Un numero che fa rumore (e un’operazione che lo rende credibile)
Se c’è un modo per capire quanto sia cambiato il capitalismo tecnologico, è guardare ciò che accade quando una società non quotata si avvicina a una capitalizzazione da “mega-cap” senza passare dalla Borsa.
Secondo Reuters, in una lettera datata 12 dicembre 2025 il CFO di SpaceX, Bret Johnsen, ha indicato i preparativi per un possibile sbarco sui mercati nel 2026 e una nuova operazione interna su azioni che fisserebbe la valutazione attorno a 800 miliardi di dollari. La transazione sarebbe impostata a 421 dollari per azione, con un’offerta fino a 2,56 miliardi di dollari di titoli per azionisti idonei.
In parallelo, diversi media finanziari hanno ricostruito l’impatto del prezzo proposto: Baron’s (14 dicembre 2025) parla di un salto netto rispetto ai riferimenti interni precedenti e di una SpaceX ormai percepita come la “prima della classe” tra le private company, spinta soprattutto dal motore commerciale di Starlink.
Perché proprio ora: Starlink come stampante di cassa (e Starship come scommessa)
Il punto non è solo la cifra. Il punto è che cosa la sostiene.
Da anni SpaceX è un ibrido: da una parte l’industria “dura” (razzi, infrastrutture, contratti istituzionali), dall’altra un business che assomiglia sempre più a una telco globale, cioè Starlink.
Reuters collega l’appeal dell’operazione soprattutto alla crescita di Starlink, citando anche lo sviluppo di servizi direct-to-mobile (connessione satellitare verso lo smartphone) e l’avanzamento di Starship, il programma che dovrebbe aprire la strada a missioni lunari e, in prospettiva, marziane.
Il messaggio implicito è chiaro: Starlink porta ricavi e resilienza, Starship assorbe capitale e tempo ma, se funziona, cambia la scala del gioco.
E quando una società prova a cambiare scala, spesso cerca un “ponte” finanziario: un’operazione di liquidità interna oggi, una IPO domani.
IPO nel 2026: ipotesi, tempistiche e l’ombra del “super collocamento”
Sulla tempistica, il coro delle fonti converge su un’idea: il 2026 come finestra realistica, più che un annuncio “imminente”.
Reuters ricorda che SpaceX potrebbe puntare a un collocamento pubblico capace di raccogliere oltre 25 miliardi di dollari, con un mercato IPO tornato più vivace nel 2025.
Anche The Guardian (10 dicembre 2025) descrive conversazioni preliminari con banche e una possibile valutazione che, in certi scenari, potrebbe perfino superare la soglia del trilione. E aggiunge un elemento di colore, ma non banale: Elon Musk avrebbe contestato pubblicamente alcune stime “troppo aggressive”, ribadendo che la valutazione dipende dall’esecuzione su Starship e dall’espansione di Starlink.
Traduzione: l’IPO non è un traguardo, è un test. E i test, in Borsa, si pagano con trasparenza, trimestrali, disciplina sui costi e aspettative difficili da governare.
La sfida simbolica con OpenAI e il “campionato” delle private company
L’altro livello della storia è narrativo, quasi sportivo: chi è la private company più preziosa del pianeta?
Nelle ultime settimane il titolo era spesso finito a OpenAI, arrivata a 500 miliardi dopo un’operazione di vendita di azioni da parte di dipendenti e investitori.
Con SpaceX a quota 800, la gerarchia si riscrive: non è solo una classifica, è un termometro di dove sta andando il capitale globale.
Business Insider (14 dicembre 2025) racconta questa dinamica anche come un ritorno di rivalità tra Musk e l’ecosistema OpenAI, alimentata da incroci storici e da uno scontro sempre più ampio tra spazio, AI e infrastrutture.
Dettaglio utile: tra “AI pura” e “spazio puro”, ormai c’è una zona grigia. Reuters riporta che tra le ambizioni di investimento ci sono perfino progetti su data center e capacità computazionale legate all’orbita e all’infrastruttura spaziale.
Che cos’è davvero una tender offer interna (e perché piace a tutti)
Operazioni come questa hanno una logica semplice e molto americana: liquidità senza quotazione.
Dipendenti e azionisti possono monetizzare una parte delle quote, l’azienda aggiorna il “cartellino del prezzo” e gli investitori ottengono un segnale: quanto vale oggi il sogno, e quanto costa restarci dentro.
Secondo la ricostruzione di Reuters, l’operazione a 421 dollari per azione riguarda un pacchetto significativo di titoli; per i dipendenti può essere un momento-chiave, perché trasforma stock option e partecipazioni in denaro reale senza attendere l’IPO.
E per SpaceX è anche un altro vantaggio: se vuoi arrivare alla Borsa in grande stile, è utile presentarti con un mercato privato che ha già “prezzato” l’azienda su livelli record.
Rischi e domande aperte: il conto della crescita e la prova dell’esecuzione
Il fascino dei numeri tondi è potente, ma le valutazioni sono promesse travestite da realtà.
La domanda che conta è: quanto regge la traiettoria?
- Starlink può continuare a crescere senza incontrare muri regolatori, concorrenza e limiti di capacità?
- Starship riuscirà a dimostrare affidabilità e frequenza di lancio compatibili con i piani industriali?
- Una futura IPO imporrà nuove regole: governance, disclosure, e la psicologia (spietata) del “quarter by quarter”.
The Guardian segnala inoltre che Musk collega esplicitamente la valutazione ai progressi concreti su Starship e all’espansione dei servizi mobili via satellite: non è un dettaglio, è un avvertimento.
Il senso politico-industriale: lo spazio come infrastruttura, non più come avventura
La notizia più grande, sotto la notizia, è questa: lo spazio non è più solo lancio e bandiere. È infrastruttura.
Connettività, difesa, dati, logistica orbitale: se SpaceX vale davvero 800 miliardi, è perché una parte del mercato la vede come un pezzo di “rete” globale, non come un laboratorio volante.
E quando un’infrastruttura privata arriva a quelle dimensioni, la Borsa diventa quasi inevitabile: non per forza domani, ma come sbocco naturale di una macchina che, per crescere, deve alimentarsi di capitale e fiducia su scala planetaria.