La ricerca mette in luce carenze strutturali e difficoltà nel preparare i giovani alle sfide del lavoro.
(Foto: studenti il primo giorno del nuovo anno scolastico).
La scuola italiana ottiene la sufficienza, ma solo di misura. È quanto emerge dalla ricerca curata, che assegna al sistema scolastico un voto medio di 6,4, in peggioramento rispetto alla rilevazione dell’anno precedente. Un segnale che va oltre la valutazione simbolica: riflette infatti la percezione diffusa di un’istituzione che non riesce a garantire pienamente né qualità formativa né pari opportunità.
Il giudizio si accompagna a critiche precise: programmi scolastici obsoleti, carenza di docenti, motivazione in calo, edilizia inadeguata e insufficienza delle dotazioni tecnologiche. Problemi che non sono nuovi, ma che diventano sempre più urgenti in un Paese alle prese con il rischio di marginalità economica e con la necessità di formare competenze adeguate a un mercato del lavoro in continua trasformazione.
Programmi vecchi, competenze nuove mancanti
Il 49% degli intervistati considera i programmi scolastici troppo teorici e non aggiornati, una quota che sale al 55% tra i giovani under 30. È un dato che mette in luce una contraddizione: proprio chi dovrebbe beneficiare dell’istruzione percepisce con maggiore forza la distanza tra ciò che viene insegnato e ciò che serve per affrontare il mondo del lavoro.
Non a caso, calano le valutazioni positive sulla capacità della scuola di fornire competenze linguistiche, considerate adeguate solo dal 45% degli intervistati (−3 punti). Ancora più critica è la situazione delle competenze green, ritenute sufficienti appena dal 26%, con un crollo di sette punti in un anno.
Le competenze digitali, pur mostrando un lieve miglioramento (40%, +6 punti), sono frenate da carenze infrastrutturali pesanti: mancano laboratori (42%, +18 punti) e strutture adeguate (31%, +16).
L’effetto sull’occupabilità
Le carenze del sistema scolastico non restano confinate nei banchi di scuola. Esse incidono direttamente sulla capacità dei giovani di entrare nel mercato del lavoro con strumenti adeguati. La distanza tra formazione e occupabilità rischia di alimentare fenomeni già gravi come la disoccupazione giovanile e l’esodo di talenti all’estero.
Se il mondo produttivo chiede competenze digitali, linguistiche e ambientali, la scuola non sembra in grado di fornirle con continuità e omogeneità. Questo gap rischia di tradursi in una perdita di competitività per l’intero Paese.
Il nodo territoriale
La ricerca conferma inoltre la forte spaccatura geografica. Per il 62% degli intervistati le scuole migliori si trovano al Nord, mentre solo il 5% assegna la palma al Sud. È una percezione che riflette differenze reali in termini di infrastrutture, disponibilità di docenti, risorse tecnologiche e capacità organizzativa.
In un sistema che dovrebbe garantire pari opportunità di istruzione, il luogo di nascita continua a determinare il livello di servizi e la qualità della formazione ricevuta. Un divario che si traduce, in prospettiva, in differenze nell’accesso al lavoro e nelle possibilità di crescita sociale ed economica.
Un investimento sociale oltre che educativo
I dati della ricerca mettono in evidenza che la scuola non può essere considerata solo un capitolo della spesa pubblica, ma un vero investimento sociale ed economico. Migliorare i programmi, aggiornare le strutture, formare meglio i docenti significa rafforzare la capacità del Paese di rispondere alle sfide della globalizzazione e delle transizioni digitale ed ecologica.
La sufficienza risicata, quindi, non è solo una pagella simbolica, ma un allarme che riguarda la tenuta del sistema economico e sociale italiano.
Il futuro da costruire
Per gli autori della ricerca, i giudizi raccolti indicano la necessità di un cambio di passo. Non basta mantenere la sufficienza: occorre trasformare la scuola in un volano di crescita, ridurre le disuguaglianze territoriali e costruire un’offerta formativa che dialoghi con le imprese e con il mondo del lavoro.
Il rischio è che, senza interventi strutturali, il voto medio di 6,4 si trasformi presto in un’insufficienza conclamata, con ricadute gravi sulla competitività del Paese e sulla coesione sociale. La scuola resta il principale ascensore sociale, ma deve essere rimessa nelle condizioni di funzionare davvero.