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Scontro Usa-Ue: perché Trump attacca l’Europa

- di: Marta Giannoni
 
Scontro Usa-Ue: perché Trump attacca l’Europa
Dal documento di sicurezza Usa al caso Musk: perché il fronte atlantico trema.

La nuova National Security Strategy firmata da Donald Trump segna uno dei momenti più tesi nei rapporti tra Stati Uniti ed Europa dalla fine della guerra fredda. Nel documento di 33 pagine, presentato a inizio dicembre 2025, il presidente americano descrive un’Europa in declino, minacciata – se non cambierà rotta – da una quasi “cancellazione” della propria civiltà. Secondo un’analisi di Reuters del 5 dicembre 2025, la strategia rilancia il motto “America First” e ripropone in chiave aggiornata la dottrina Monroe, spostando il baricentro degli interessi Usa sull’emisfero occidentale e sulla sfida con la Cina.

Il risultato è un attacco diretto al Vecchio Continente: dall’immigrazione alla regolazione dei social, fino alle aspettative sulla guerra in Ucraina. Bruxelles replica, Roma prova a mediare, Mosca applaude: e sullo sfondo esplode anche il caso Elon Musk vs Commissione Ue. Uno scontro che non è solo verbale, ma che mette in discussione la struttura stessa del rapporto transatlantico.


Le bordate di Trump: un’Europa “vecchia, lenta e irrilevante”

La strategia di sicurezza nazionale individua nell’Europa un alleato problematica. Il documento parla, in sostanza, di una classe politica europea arroccata su governi fragili, pronta a limitare la libertà di espressione e a reprimere il dissenso in nome della stabilità. Sempre secondo Reuters (5 dicembre 2025), la Casa Bianca contesta a Bruxelles:

  • Politiche migratorie giudicate destabilizzanti, destinate a “trasformare il continente”;
  • censura della libertà di parola attraverso regole troppo invasive su media e piattaforme digitali;
  • aspettative irrealistiche sulla guerra in Ucraina, con governi europei ritenuti poco realistici sui costi e sulla durata del conflitto;
  • una Ue che mina la sovranità politica degli Stati membri attraverso eccesso di regolazione e burocrazia.

Lo scarto rispetto al passato è evidente: l’Europa non è più descritta come pilastro imprescindibile dell’Occidente, ma come un alleato problematico, poco utile rispetto alle nuove priorità Usa – Cina, immigrazione, controllo dell’emisfero occidentale.


La risposta europea: “Partenariato unico, ma decidiamo noi per l’Europa”

Da Bruxelles, la replica arriva a stretto giro. Un portavoce della Commissione Ue ribadisce che le decisioni che riguardano l’Europa “vengono prese dall’Unione europea, per l’Unione europea”, in particolare su autonomia normativa, tutela della libertà di espressione e difesa dell’ordine internazionale basato sulle regole. Lo riportano, tra gli altri, i lanci dell’Ansa del 6 dicembre 2025 e i siti dei principali quotidiani italiani.

Il messaggio è duplice: sì alla consapevolezza del valore del partenariato transatlantico, ma no all’idea di un’Europa che subisce passivamente l’agenda di Washington. Per la Commissione, gli alleati “sono più forti insieme”, ma non a costo di rinunciare alla propria sovranità regolatoria.

Sul piano politico, il tentativo di abbassare la tensione arriva da Donald Tusk, premier polacco, che su X ricorda come l’Europa sia stata “per 80 anni l’alleato più vicino degli Stati Uniti” e invita a restare fedeli a questa linea. Un appello alla memoria storica, in un momento in cui la narrativa di Washington sembra voler archiviare rapidamente il ruolo dell’Europa come “spalla” indispensabile.

Più sfumata la posizione di Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue: intervenendo al Doha Forum, riconosce che nel testo americano “ci sono molte critiche, alcune anche fondate”, ma sottolinea che gli Usa restano “il nostro alleato più grande” e che il principio generale è ancora valido: Europa e Stati Uniti devono restare uniti. La linea, riportata da media europei tra il 6 e il 7 dicembre 2025, è chiara: difendere il legame atlantico, ma aprire una discussione realistica sulle responsabilità europee in materia di sicurezza.


Meloni e Crosetto: l’Europa va difesa da sola

In Italia, la premier Giorgia Meloni minimizza l’idea di una “spaccatura” tra Usa e Ue, parlando piuttosto di toni assertivi su nodi già noti da tempo, in particolare sull’immigrazione. Secondo quanto riferito dalle tv italiane il 6 dicembre 2025, Meloni sostiene che il documento Usa sancisce un “percorso storico inevitabile”: gli europei devono assumersi maggiori responsabilità nella propria difesa.

Ancora più esplicito il ministro della Difesa Guido Crosetto. In più interviste e dichiarazioni, riprese da testate come Affaritaliani e Sky TG24 (6 dicembre 2025), sostiene che gli Usa hanno semplicemente “esplicitato” ciò che ripete da anni: la garanzia di difesa “regalata” dagli Stati Uniti dal 1945 non è eterna e sta finendo prima del previsto.

Crosetto riassume così lo sguardo di Washington sull’Europa:

  • non ha risorse naturali davvero decisive;
  • sta perdendo la competizione su innovazione e tecnologia;
  • non dispone di un potere militare credibile;
  • appare, rispetto ai nuovi attori globali, “piccola, lenta e vecchia”.

La “pessima notizia”, per il ministro, è che l’Europa deve cominciare a farsi carico da sola di sicurezza, difesa e deterrenza; non solo sul piano militare, ma anche economico, tecnologico, energetico. Da qui l’insistenza sugli investimenti: il salto nelle tecnologie critiche e nella difesa comune richiede volumi di capitale tali che, persino per 27 Paesi messi insieme, risultano pesanti – ma inevitabili “per sopravvivere”.


La variabile Russia e il dossier Ucraina

Sul fronte opposto del tavolo, il Cremlino accoglie con favore la nuova dottrina di Trump. Come riportato da diversi media internazionali, tra cui The Guardian il 7 dicembre 2025, il portavoce Dmitrij Peskov definisce gli “aggiustamenti” contenuti nella strategia “in gran parte coerenti” con la visione russa e intravede la possibilità di un “lavoro costruttivo” con Washington sulla questione ucraina.

La lettura che se ne ricava è chiara: la ridefinizione del ruolo europeo passa anche attraverso un possibile riassetto dei rapporti tra Stati Uniti e Russia. Se l’Europa diventa un attore marginale, la discussione sul futuro dell’Ucraina rischia di spostarsi sempre di più su un asse Washington-Mosca, con Bruxelles relegata a spettatore interessato ma meno influente.

Per i Paesi dell’Est e per gli Stati più esposti, questo scenario è motivo di forte preoccupazione. Non a caso il dossier difesa è al centro dell’iniziativa ReArm Europe, il programma approvato dall’Ue nel 2025 per rafforzare le capacità militari europee e ridurre la dipendenza dagli arsenali americani. Una scelta che, letta alla luce delle parole di Trump, appare meno come un vezzo politico e più come una necessità di sopravvivenza strategica.


Musk, X e la libertà di parola: il fronte digitale del conflitto Usa-Ue

Sul clima già teso tra Washington e Bruxelles si innesta un altro fronte sensibile: quello della regolazione delle piattaforme digitali. Nei primi giorni di dicembre 2025, la Commissione europea infligge una multa da 120 milioni di euro a X, il social di Elon Musk, per violazioni del Digital Services Act (DSA). Secondo i documenti europei diffusi in quei giorni, le infrazioni riguardano il design della “spunta blu”, la trasparenza limitata sul sistema pubblicitario e la mancata concessione di accesso ai dati pubblici ai ricercatori.

La sanzione viene presentata da Bruxelles come la prima decisione formale di non conformità ai sensi del DSA, la legge pensata per mettere fine al “Far West online”. L’obiettivo dichiarato non è la repressione dell’innovazione, ma la tutela dei cittadini da contenuti illegali, disinformazione e meccanismi opachi di profilazione.

Musk reagisce con una controffensiva politica. Su X afferma che l’Unione europea “dovrebbe essere abolita” e che la sovranità andrebbe riportata ai singoli Stati, così che i governi possano rappresentare direttamente i propri cittadini. Parole che fanno breccia in una parte del fronte sovranista europeo.

Il premier ungherese Viktor Orbán, sempre via X, definisce la multa a X un attacco alla libertà di parola: quando i “padroni di Bruxelles” non vincono il dibattito, “chiedono multe”. Secondo Orbán, l’Europa ha bisogno di più libertà di espressione, non di burocrati non eletti che decidono cosa si può leggere o dire.

Sulla stessa linea il leader dell’ultradestra olandese Geert Wilders, che accusa la Commissione di essere un’istituzione “totalitaria” e sostiene che non andrebbe accettata la multa contro X, ma piuttosto “abolita la Commissione europea”. La polemica salda il fronte sovranista europeo a un simbolo globale come Musk, e rafforza la narrativa di un’Europa vista come censore digitale proprio mentre Trump attacca Bruxelles per la sua presunta “censura della libertà di parola”.


Orbán, guerra e Trump “pacifista”: il tassello geopolitico

Orbán non si limita a difendere Musk. In un altro post, sempre su X, traccia quella che definisce la “strada verso la guerra” in quattro fasi – dal fallimento della diplomazia alla mobilitazione per un’economia di guerra – accusando i leader europei di aver portato il continente vicino al confronto diretto.

Budapest rivendica di voler restare “alla larga” da questa logica e annuncia che continuerà a battersi per la pace. Il passaggio politicamente più rilevante arriva quando Orbán afferma che “l’America ha finalmente un presidente che odia davvero la guerra” e dichiara: “Stiamo al fianco di Donald Trump, un leader pronto a porre fine a questa follia e a portare la pace”.

Qui lo scontro Usa-Ue assume un ulteriore livello: un capo di governo europeo indica apertamente il presidente americano come punto di riferimento politico, contro la linea prevalente nelle istituzioni Ue. Il fronte sovranista interno all’Unione, quello trumpiano negli Usa e la galassia dei sostenitori di Musk vanno a comporre una costellazione politico-mediatica globale che contesta allo stesso tempo Bruxelles e le tradizionali élite atlantiche.


Scenari futuri: Europa tra rischio irrilevanza e occasione di rinascita

La domanda di fondo è: cosa succede adesso? Al netto dei toni, la strategia di Trump e le reazioni europee mettono in fila alcuni scenari possibili:

  • Più difesa europea, meno ombrello Usa
    Tra NATO ed iniziative come ReArm Europe, l’Europa è spinta a passare dalla retorica sui “valori comuni” alla costruzione di capacità militari reali. Non per sostituire gli Stati Uniti dall’oggi al domani, ma per non dipendere più totalmente dalle decisioni di Washington.
  • Nuove alleanze e dossier energetici
    Come ricorda Crosetto, negli ultimi anni l’Italia e altri Paesi europei hanno intensificato rapporti bilaterali con Africa, Golfo, Asia, Sud America, Australia per rafforzare sicurezza energetica, approvvigionamenti strategici e catene del valore. Se gli Usa arretrano, questi legami diventano ancora più cruciali.
  • Guerra di narrativa su libertà di parola e regolazione
    La battaglia sul DSA, su X e sulle altre piattaforme non è un capitolo isolato, ma il sintomo di uno scontro più ampio: Europa come regolatore severo contro modello americano più “laissez-faire” (almeno nella versione trumpiana). A seconda di come evolveranno queste tensioni, l’Ue potrà essere percepita come baluardo contro gli abusi digitali o come censore iper-regolatore.
  • Ritorno di Russia e Cina nel “gioco europeo”
    Se Washington definisce l’Europa un alleato meno decisivo, Russia e Cina hanno più margini per rafforzare influenza politica, economica e tecnologica nel continente. Per l’Ue questo significa dover difendere non solo i confini, ma anche lo spazio informativo e industriale.

Una crisi di rottura, ma anche un banco di prova

Lo scontro innescato dalla nuova strategia di sicurezza nazionale Usa non è un semplice incidente diplomatico. È la fotografia di un mondo post-2014 (dall’annessione della Crimea alla guerra in Ucraina) in cui gli equilibri costruiti nel secondo dopoguerra non reggono più come prima.

Per l’Europa, questa è insieme una crisi e un’occasione. Crisi, perché essere descritta da Washington come alleato debole e poco utile significa veder contestato il proprio ruolo di attore globale. Occasione, perché costringe Bruxelles e le capitali a porsi domande rimandate per decenni: quanta difesa comune vogliamo? quanta autonomia strategica siamo disposti a costruire? quali rischi siamo pronti a correre per non essere solo il teatro, ma uno dei protagonisti del gioco globale?

La risposta non arriverà in un solo vertice né in un solo documento. Ma una cosa è chiara: dopo la National Security Strategy 2025 di Trump, il rapporto Usa-Ue non potrà più essere raccontato come un automatismo. Sarà, d’ora in avanti, una scelta politica quotidiana – e l’Europa dovrà decidere se vuole ancora contare o se accettare il ruolo di spettatrice di lusso nella storia altrui.

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