Sanità, un'Italia spaccata in due

- di: Massimiliano Ricci
 
Secondo l’Euro Index Consumer Health 2016 (un indice che evidenzia il livello di qualità della Sanità in Europa basandosi su tempi di attesa, affidabilità e risultati conseguiti) l’Italia è un paese spaccato in due, a due velocità, anche in un settore così delicato e significativo per la qualità della vita delle persone.

Se da un lato le regioni del Nord appaiono al passo dei più avanzati paesi europei, fornendo un servizio sanitario all’avanguardia, le regioni meridionali, purtroppo, fanno più fatica e, nella maggior parte dei casi, la qualità dei servizi offerti non è affatto sufficiente.

Nell’anno solare 2016, l’Italia si è collocata al ventiduesimo posto in Europa in tema di sanità, confermando il basso risultato conseguito nel 2015 (anche se vi è una crescita di quindici punti rispetto a due anni fa).
Al comando tra le nazioni europee di questa classifica ci sono i Paesi Bassi seguiti dalla Svizzera e dalla Norvegia. Poi, Belgio, Islanda, Lussemburgo, Germania e Finlandia. La Francia si colloca all’undicesimo posto, mentre il Regno Unito risulta quindicesimo.
Il posizionamento piuttosto arretrato dell’Italia in questa speciale classifica, è dovuto in particolar modo, come già riportato sopra, all’enorme differenza qualitativa tra le varie regioni. Un esempio emblematico riguarda il Pil della regione più povera che risulta essere solo un terzo di quello totale della Lombardia.
Tuttavia, misurare l’efficienza e la qualità dei servizi di un sistema sanitario è da sempre un lavoro arduo ed anche, se vogliamo, un azzardo. Tanti, troppi, sono i dati e le statistiche da tenere conto e, spesso, queste sono discordanti fra loro.
Sono passati sedici anni ormai da quando nel World Health Report del 2000, l’Organizzazione Mondiale della Sanità collocava l’Italia al secondo posto dopo la Francia (anche se, per dovere di cronaca, quegli indicatori furono molto criticati).
Alla fine, quindi, come si posiziona il Sistema sanitario nazionale italiano nei confronti degli altri paesi europei e mondiali? Difficile a dirlo con assoluta certezza e senza il timore di essere smentiti. Un’analisi completa e veritiera non c’è e forse non ci sarà mai. Quel che è certa è la fotografia del nostro paese in tema di sanità: frammentata, divisa, discontinua, con picchi di eccellenza invidiati da tutto il mondo, a picchi di mediocrità assoluta.
La percezione che l’Italia, purtroppo, non fosse più seconda in questa speciale classifica si ebbe immediatamente e, con il tempo, questa sensazione è tramutata in certezza, supportata anche dai dati sopra citati e non solo. Il Sistema sanitario nazionale, infatti, è molto criticato dai cittadini, con giudizi talvolta pessimi espressi in tutte le forme di comunicazioni possibili.

Queste recensioni negative si sono trasformate, nel tempo, in vere e proprie forme di rinuncia. Infatti, mentre sale a 35,2 miliardi di euro la spesa degli italiani per la sanità, nell’ultimo anno ben 12,2 milioni di italiani hanno rinunciato o rinviato volutamente prestazioni sanitarie (1,2 milioni in più risetto al 2016). Ad evidenziarlo, sono i risultati del Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute sulla sanità pubblica, privata e integrativa, presentati a Roma in occasione del Welfare day 2017.

La sempre più evidente differenza fra i vari sistemi sanitari locali e la difformità delle opportunità di cura, hanno avuto come conseguenza sociale una spaccatura netta e crescente nella popolazione.

Ben al di sopra del 70% delle persone a basso reddito hanno riscontrato difficoltà economiche ad affrontare spese sanitarie private. Ma anche tra le persone cosiddette benestanti, il dato non è incoraggiante. La spesa sanitaria privata, sempre più diffusa fra gli italiani, pesa molto di più su chi vive in regioni in difficoltà.
Perché – ci si chiede sempre più spesso – gli italiani ricorrono alle cure private pagando di tasca propria? La risposta è sotto gli occhi di tutti: l’attesa per le prestazioni sanitarie nel servizio pubblico è esageratamente lunga, oltre a richiedere spesso anche l’esborso del ticket. Basti pensare che per una mammografia si attendono in media 122 giorni, con picchi di 142 in alcune regioni. E per altre visite e controlli, il quadro non migliora.

Ad esempio, nella regione Lombardia, la regolamentazione in merito è chiara e non lascia spazio ad interpretazioni: qualora un cittadino si rivolga ad un qualsiasi ospedale della regione suddetta, nei tempi massimi di attesa previsti per la prima visita specialistica (quindi sessanta giorni), la medesima struttura è obbligata a mettere a disposizione la stessa prestazione usufruendo, però, dei servizi all’interno di strutture private, facendo pagare solo il ticket al richiedente. Questo tipo di informazioni dovrebbero essere fornite direttamente allo sportello al momento dell’accettazione, ma la realtà, come spesso accade in questi casi, è tutt’altra, denunciato anche da una nota trasmissione televisiva. Pochi operatori evidenziano la possibilità di poter utilizzare gli spazi dedicati alle visite private pagando solo il ticket.
Il quadro che viene fuori è emblematico: più di un italiano su quattro non sa come far fronte alle spese sanitarie per curarsi e, come se non bastasse, subisce danni economici per pagare di tasca propria le spese sanitarie.

Da tutto ciò, viene fuori che il 64,5% degli italiani resta comunque soddisfatto del servizio sanitario, ma basta scendere nelle regioni meridionali per trovare un quadro esattamente capovolto. Infatti, solo il 47,3% sono soddisfatti dei servizi ricevuti, mentre al centro la percentuale si attesta intoro al 60%.

Queste statistiche confermano ancor di più la differenza, anche a livello di percezione tra i cittadini, tra le varie regioni. Tutto ciò deve necessariamente tramutarsi in una vera e propria sfida da vincere a tutti i costi per i sistemi sanitari locali. Infatti, va sempre più delineandosi un modello multipilastro, intento a valorizzare la coesistenza tra pubblico, privato e sanità integrativa. Al momento, sembra essere l’unica strada percorribile per dare una copertura totale su tutto il territorio nazionale.
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