Il salone del libro di Torino

- di: Francesco d'Alfonso
 

Il Salone Internazionale del Libro di Torino è, da trentuno anni, il biglietto da visita dell’editoria italiana nel mondo. Per cinque giorni, dal 10 al 14 maggio, nel capoluogo piemontese arriveranno, da paesi di ogni continente, editori, scrittori, scienziati, registi, artisti, musicisti, premi Nobel, premi Pulitzer, premi Goncourt, premi Oscar, per parlare di libri, ma anche, e soprattutto, per riflettere sulla costruzione di un futuro comune in cui abbia senso vivere. Proprio per questo motivo il Salone ha chiesto alle migliori menti del nostro tempo di rispondere a cinque grandi domande sulla contemporaneità, domande fondamentali per il tempo che ci aspetta: Chi voglio essere? Perché mi serve un nemico? A chi appartiene il mondo? Dove mi portano spiritualità e scienza? Che cosa voglio dall’arte: libertà o rivoluzione? E siccome il futuro è al centro di quest’edizione, Torino 2018 si aprirà con una lezione magistrale sull’Europa, su quello che il vecchio continente è oggi, nel XXI secolo, su ciò che sarà e su ciò dovrebbe essere, che sarà tenuta dal grande scrittore e saggista spagnolo Javier Cercas.

Della trentunesima edizione del Salone, organizzata dalla Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura insieme alla Fondazione Circolo dei lettori e alla Fondazione per la Cultura Torino, ne abbiamo parlato con il direttore editoriale, Nicola Lagioia, già vincitore del Premio Strega 2015.

Lagioia, chi ci sarà quest’anno a Torino?
Ci sarà tutta l’editoria italiana: ci saranno gli editori indipendenti, e ci saranno i grandi gruppi. Chi verrà al Salone avrà dunque la fortuna di venire a contatto con tutta la scena editoriale del nostro Paese. È un motivo d’orgoglio – e la conferma di trentuno anni di storia e tradizione – che gli editori italiani abbiano scelto Torino per ritrovarsi tutti insieme sotto lo stesso tetto.

Quali sono, secondo lei, i motivi di questa scelta?
Il motivo fondamentale è che il Salone del Libro è tante cose insieme: è un luogo di ragionamento, un luogo dove si fa, per così dire, il punto della situazione, è una grande festa. Tuttavia non è una vetrina di eventi: sicuramente è una fiera di successo in cui gli editori che portano i loro libri hanno la massima cassa di risonanza per farne parlare, ma è soprattutto una manifestazione che produce contenuti culturali, uno straordinario luogo di incontro, un crocevia per comprendere il mondo in maniera più profonda di quanto non si faccia normalmente, nella quotidianità.

“Un giorno, tutto questo” è il tema del Salone del Libro di Torino 2018: un tema che racchiude in sé l’idea del presente e l’idea del futuro. Ma il presente e il futuro – lo sappiamo bene – non esisterebbero senza il passato. Quanto è importante, secondo lei, guardare al passato per costruire il futuro?
È fondamentale: basti pensare solo alla storia della letteratura. Ogni innovazione in letteratura, o in arte, sarebbe impossibile se non ci fosse una tradizione alle spalle con la quale confrontarsi. Gli scrittori più rivoluzionari, lo sono stati perché erano in polemica con una tradizione. Non bisogna, però, ammalarsi di passato!

La letteratura è in grado di cambiare il mondo?
Non credo sia compito della letteratura cambiare il mondo. La letteratura, piuttosto, racconta il mondo. Pensiamo a quale era il paese culturalmente e artisticamente più progredito fra le due Guerre, quello che aveva i migliori scrittori, i migliori filosofi, i migliori musicisti: era la Germania di Weimer. Non è che La montagna incantata di Thomas Mann abbia impedito l’ascesa del Terzo Reich! È vera però una cosa: anche grazie alla letteratura – a romanzi, appunto, come La montagna incantata, o alle poesie di Paul Celan, o alle parabole di Franz Kafka – noi riusciamo a guardarci ancora gli uni con gli altri come esseri umani, nonostante i disastri che disseminiamo lungo la nostra storia. La letteratura serve, fondamentalmente, per rimanere umani. Magari può anche succedere che un libro cambi il mondo, ma letteratura, da questo punto di vista, è sempre preterintenzionale. Non sono sicuro che la cultura possa salvare il mondo, ma la bellezza, forse, sì.

17/05/17, Torino, Auditorium Giovanni Agnelli, Salone del Libro 2017, Jass. Ovvero quando il jazz parlava siciliano, nella foto: Nicola Lagioia

C’è una celebre frase di Ennio Flaiano: «Il libro è l’unico oggetto inanimato che possa avere sogni». I libri sognano secondo Nicola Lagioia?
I libri, piuttosto, sono determinanti per il nostro immaginario, e ancor di più per la nostra educazione sentimentale. La tavolozza, o meglio, la griglia dei sentimenti umani messa a punto durante il periodo elisabettiano da Shakespeare, ad esempio, è valida ancor oggi; personaggi come Don Chisciotte, o come Madame Bovary, sono entrati in maniera così prepotente nel nostro immaginario da “determinarci”, anche qualora noi non lo volessimo. Noi pensiamo di parlare dei grandi classici, ma sono loro a parlare a noi: questo vale soprattutto in Italia, che è stata unita dalla letteratura prima ancora che dalla politica.

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