Riforme: il primo confronto va secondo copione: nulla di fatto...
- di: Redazione
Tutto secondo copione nella prima tornata di colloqui sulle riforme, fortemente voluta dal presidente del Consiglio, che certo non ignorava le difficoltà del suo progetto, ma che ha voluto lo stesso confrontarsi con le forze politiche, anche quelle della coalizione di maggioranza. Al di là dei toni garbati e della forma che li imponeva, gli incontri hanno confermato le posizioni di partenza, e quindi anche i punti che nei due schieramenti - definizione abbastanza elastica, come vedremo - non sono trattabili e, di conseguenza, al momento lontani da ogni possibile mediazione.
Ma Giorgia Meloni intende andare avanti e poco ha spostato, nella sua testa, sentire le controdeduzioni che le sono state fatte, soprattutto dal Partito Democratico e dai Cinque Stelle, sui temi a lei cari: elezione diretta dei vertici della Repubblica e, quindi, l'adozione di quelle riforme che consentano a chi viene premiato dagli elettori di potere governare senza essere perennemente sotto ricatto.
Riforme: il primo confronto va secondo copione: nulla di fatto...
Ma questa, si potrebbe eccepire, è la forza della democrazia, ma anche la sua debolezza, trovandosi - la storia degli ultimi decenni lo testimonia - i governi senza difesa se un alleato cerca di defilarsi, oppure di uscire dalla maggioranza.
Giorgia Meloni, come ha ripetuto già molte volte anche nelle ultime ore, vuole le riforme ed è disposta anche ad andare allo scontro pur di raggiungere questo obiettivo. Se, però, il muro delle opposizioni era abbastanza scontato - seppure con sfumature diverse, ma non certo non evidenti - , meno lo era che il secondo, per numeri, partito della maggioranza operasse un distinguo sostanziale, che rischia di mandare a gambe all'aria progetti, ipotesi, speranze. La Lega, in sostanza, si è detta d'accordo sull'elezione diretta del presidente della Repubblica, meno, molto meno sul progetto di dare molta più forza, rispetto ad oggi, alla figura del premier.
La sottolineata esigenza, da parte del capogruppo leghista alla Camera Molinari, di non vedere intaccate le prerogative del Parlamento non è una provocazione, né, a rifletterci un po', una posizione che ribalta le precedenti, essendo il movimento da sempre convinto assertore del valore delle assemblee elettive, intese come cinghia di trasmissione tra la gente e il Palazzo.
E poi c'è anche un altro importante aspetto, evidenziato da Molinari, che ha ricordato che, se l'elezione diretta del presidente della Repubblica è nel programma del centro-destra, non si può dire lo stesso del premierato, buttato sul tavolo della trattativa in modo che la Lega ritiene forse irrituale in quanto non concordato. Anche perché, guardando ad un futuro non necessariamente ipotetico, se le cose elettoralmente dovessero restare così, il ''potere'' nelle mani del partito di riferimento della coalizione - quindi, di Fratelli d'Italia - sarebbe enorme. Cosa che a Salvini (alla continua ricerca di visibilità) e alla Lega non sta affatto bene. Anzi, potrebbe anche fare paura, mettendo la Lega a rischio di ininfluenza politica.
Ma, nel muro contro muro, qualche crepa si manifesta anche tra le opposizioni. Se Elly Schlein è andata all'appuntamento armata di ''no'', ragionati e, dal suo punto di vista, motivati, i Cinque Stelle hanno dato la disponibilità ad una soluzione che, di per sé, in passato non ha portato risultati: la bicamerale, che significherebbe solo un luogo dove, tra sofismi e provocazioni, il dato costante sarebbe quello dello stallo.
E poi ci sarebbero i centristi, d'accordo sull'elezione diretta del premier, ma solo su quella.
Ora aspettiamo il prossimo giro della giostra.