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In Umbria le imprese non falliscono: restano senza eredi

- di: Jole Rosati
 
In Umbria le imprese non falliscono: restano senza eredi

Report della Camera di Commercio dell’Umbria: sette numeri spiegano perché la regione anticipa il futuro delle PMI italiane.

Sette numeri spiegano perché la regione anticipa i nodi irrisolti delle PMI italiane. Quasi 91mila imprese in una regione sotto il milione di abitanti, un saldo che oscilla intorno allo zero, imprenditori più anziani della media nazionale e un export costruito senza grandi imprese capofila. I numeri raccontano un sistema che fatica a rigenerarsi, dove il rischio non è il fallimento bensì la mancanza di continuità. Per questo l’Umbria anticipa un nodo che riguarda l’intero capitalismo delle PMI italiane.

La dichiarazione
Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria: “Ciò che rende l’Umbria un caso interessante è che le politiche non si fermano alle imprese già strutturate, ma raggiungono concretamente anche quelle sotto i dieci addetti. È qui che si misura l’efficacia dell’azione camerale: strumenti operativi, già attivi, che accompagnano le microimprese nei percorsi di digitalizzazione, organizzazione e innovazione, rendendo accessibili opportunità che altrove restano fuori portata. Questo lavoro quotidiano, spesso poco visibile, incide sulla tenuta e sull’evoluzione del tessuto produttivo reale. È in questa capacità di arrivare dove normalmente le politiche non arrivano che l’Umbria diventa un laboratorio concreto per il sistema delle Pmi”.

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In Umbria la parola “crisi” raramente coincide con “fallimento”. Il problema principale è un altro, molto meno visibile: la continuità. Molte imprese non chiudono perché non stanno in piedi, ma perché non c’è chi le prenda in mano. È una differenza sostanziale, che cambia completamente l’agenda delle politiche economiche: non solo sostegno alle imprese in difficoltà, ma difesa di imprese sane che rischiano di scomparire per mancanza di ricambio generazionale.

Questa dinamica, che in territori più grandi resta diluita dentro numeri aggregati, in Umbria emerge con particolare chiarezza. La dimensione contenuta del sistema produttivo fa sì che ogni squilibrio diventi immediatamente leggibile. Ed è proprio questa trasparenza strutturale a rendere la regione un laboratorio naturale per comprendere cosa attende il sistema delle PMI italiane nei prossimi anni.


1. Quasi 91mila imprese in una regione sotto il milione di abitanti

Al 30 settembre 2025 lo stock delle imprese umbre è pari a 90.440 unità. È una densità imprenditoriale elevata, tra le più alte del Centro Italia. In un contesto così compatto, ogni variazione ha un impatto immediato sull’economia locale, sull’occupazione e sulle filiere di prossimità. Qui non esistono grandi ammortizzatori dimensionali: quando un’impresa esce dal mercato, il vuoto resta visibile.


2. Un saldo che oscilla intorno allo zero

Nel 2024 le iscrizioni sono state 4.260, le cessazioni 4.595, con un saldo di -335 imprese. Nel secondo trimestre 2025, però, il saldo torna positivo (+409 unità), confermando il segno più (+125) nel terzo trimestre 2025, segnale di una vitalità che resiste. Letti insieme, i dati raccontano un sistema che non crolla, ma che fatica a rigenerarsi in modo strutturale, con aperture che non compensano pienamente le uscite.

Il confronto nazionale è istruttivo: il Nord cresce grazie a imprese più capitalizzate e organizzate; il Mezzogiorno compensa con una maggiore natalità imprenditoriale. L’Umbria resta in mezzo, senza una spinta sostitutiva sufficiente, né sul fronte dimensionale né su quello generazionale.


3. Imprenditori più anziani della media nazionale

Il nodo del ricambio emerge osservando l’età dei titolari d’impresa. Oltre il 34% degli imprenditori umbri ha più di 55 anni, contro una media nazionale intorno al 31%. Gli under 35 rappresentano meno del 9%, a fronte di una media italiana prossima all’11% e percentuali più alte nel Mezzogiorno.

  • nel Nord l’invecchiamento è mitigato da passaggi manageriali e strutture societarie più robuste;
  • nel Sud da una maggiore natalità imprenditoriale;
  • in Umbria le due dinamiche non si compensano, lasciando un vuoto potenziale di continuità.

4. Il crollo del ricambio nell’artigianato

Il dato più eloquente riguarda l’artigianato, uno dei pilastri identitari dell’economia regionale. Nell’ultimo anno le imprese artigiane guidate da under 35 sono diminuite del 40,7%, passando da 2.282 a 1.354. È una contrazione più marcata rispetto a molte regioni del Nord e non compensata, come nel Mezzogiorno, da nuove aperture. In Umbria, quando un’impresa artigiana chiude, spesso scompare definitivamente, portando con sé competenze difficilmente riproducibili.


5. Microimprese longeve, non fragili

La maggioranza delle imprese umbre è costituita da microimprese, spesso attive da oltre vent’anni. Hanno attraversato crisi finanziarie, pandemia e shock energetici senza collassare. Non sono imprese deboli, ma fortemente personalizzate, in cui competenze, clienti e fornitori ruotano attorno al titolare. Il rischio non è la competitività nel breve periodo, ma la perdita di continuità nel medio-lungo termine.

Questo modello è sempre più diffuso in Italia, ma in Umbria è dominante. Per questo il territorio anticipa un problema che altrove emergerà in modo più graduale.


6. Un export senza grandi imprese capofila

Nei primi nove mesi del 2025 l’export umbro ha raggiunto 4,37 miliardi di euro, pari allo 0,9% del totale nazionale. È un export costruito senza grandi aziende leader, basato su subfornitura, componentistica e lavorazioni specialistiche. Un modello simile a quello del Nord industriale, ma applicato a una scala micro, più vulnerabile quando una singola impresa esce dalla filiera.


7. Digitale e innovazione: una rincorsa reale

Negli ultimi dieci anni le imprese umbre attive nell’e-commerce sono aumentate del +204,7%, più di Toscana e Marche. La base resta contenuta, ma la dinamica indica una trasformazione concreta, soprattutto tra le microimprese. Non a caso, nel 2024 le domande umbre ai bandi PNRR sono cresciute del +27%, con il 62% presentato da imprese sotto i 50 addetti, segno che anche le realtà più piccole stanno provando ad agganciare il cambiamento.


Perché l’Umbria è un laboratorio

Nel 2024 il PIL regionale è cresciuto di circa +0,7%, in linea con il dato nazionale, e nel primo semestre 2025 la dinamica resta positiva (+0,6%, contro +0,5% dell’Italia). L’Umbria oggi non è una regione tecnicamente in crisi. Ed è proprio questo il punto: perdere imprese che funzionano per mancanza di eredi è uno spreco sistemico, non una necessità economica.

Qui si vede prima ciò che altrove emergerà dopo: un capitalismo diffuso, fatto di imprese longeve e competenti, che rischia di dissolversi non per debolezza economica, ma per mancanza di trasmissione. Per questo l’Umbria non racconta solo una storia locale, ma anticipa una questione nazionale. 

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