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Rai: di tutto, di più, di peggio

- di: Bianca Balvani
 
Rai: di tutto, di più, di peggio
Come ogni comune mortale, l'italiano medio contribuisce, pagando il canone e non potendo esimersi dal farlo, alla sopravvivenza della Rai. Che è servizio pubblico, quindi con gli obblighi che questo profilo impone. A partire dai contenuti, che devono essere ''costruttivi''. Però ci sono casi in cui dire che la Rai aiuta il Paese a crescere in civiltà è esagerato, proponendo essa da tempo casi sui quali diventa quasi necessaria una riflessione, che riguarda essenzialmente l'offerta informativa e come essa viene proposta.

Rai: di tutto, di più, di peggio

Pochi giorni fa la Rai è stata, paradossalmente, da censurare ed elogiare insieme perché ha visto, a distanza di pochi secondi, un'inviata vantarsi di avere ignorato gli appelli alla prudenza lanciati dalle autorità (a cominciare dai sindaci) a restare al sicuro nelle zone colpite dall'inondazione che ha devastato l'Emilia Romagna e la conduttrice in studio a rimproverarla aspramente per quanto aveva fatto e, soprattutto, per essersene vantata. Potremmo dire che questa è l'ultima frontiera del giornalismo, quello che cerca l'effetto, relegando la notizia in seconda fila, come se si trattasse di una concessione e non invece il cuore dell'informazione.
Quindi all'inviata che, sorridente, si pavoneggiava per avere eluso le forti e preoccupate raccomandazioni alla prudenza a chi si trovava nelle zone invase da acqua e fango, la conduttrice, Monica Giandotti (la trasmissione è ''Agorà'', su Rai3) ha dapprima fatto una strigliata, poi, interrompendo il collegamento, le ha letteralmente tolto la parola, quindi anche la possibilità di mostrarsi giornalista di prima linea, sprezzante del pericolo.

Due lezioni in una, da parte di Monica Giandotti che ha compreso perfettamente il messaggio implicito lanciato dall'inviata (faccio tutto per l'audience) e lo ha stroncato. Abbiamo cercato di capire a quale redazione regionale o testata nazionale appartenesse l'inviata in questione , ma non abbiamo trovato alcun riferimento, deducendo, quindi, che non sia una dipendente Rai, ma una esterna. E questo ripropone un vecchio problema: a fronte di un organico giornalistico enorme (tra sedi regionali e centrali), la Rai fa ricorso a non dipendenti, cosa che - lo capirebbe anche la casalinga di Voghera - ha un costo aggiuntivo rispetto a quello che dovrebbe affrontare facendo fare lo stesso lavoro a un giornalista o a una giornalista interni.
Ma questo è il prezzo che si deve pagare ad un modo spettacolarizzato di fare informazione, dove è tutto un inseguire i soggetti da intervistare, a incalzarli, mettergli davanti alla bocca un microfono per rubargli dichiarazioni che non stravolgono più di tanto.

E' la televisione che gronda dolore e sensazionalismo, dove chi è mandato a lavorare sul campo anziché limitarsi a raccontare la ''notizia'' cerca di esserne il demiurgo. Un modo di fare informazione che se ha un senso nelle cosiddette televisioni commerciali, è improponibile per il servizio pubblico, punto di riferimento di tutti, non solo di chi si piazza davanti alla tv per sentire raccontare di delitti efferati, casi che diventano umani solo davanti ad una telecamere, di persone che sono solo caricature.

Un discorso, il nostro, destinato però a cadere nel vuoto, perché quotidianamente questo modello informativo viene riproposto, con l'aggravante che, a discuterne, vengono chiamate persone rispettabilissime, ma che non hanno alcun titolo per giudicare o spiegare e i cui interventi spesso sono al limite del ridicolo, perché non avendo nulla di fondato da dire vanno a ruota libera. Le altre tv, ripetiamo, non avendo alcun vincolo, possono fare quel che vogliono per catturare consensi. Ma la Rai, sovvenzionata dal canone, potrebbe anche sacrificare qualche punto percentuale in termini di ascolti per fare quello per il quale paghiamo: informare.
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