Povertà infantile in Italia, Save the Children chiede l’istituzione di un Fondo destinato ai Comuni

- di: Barbara Leone
 
Un quadro allarmante emerge dai dati Istat sulla povertà minorile in Italia. Sono infatti 1,29 milioni i minori in povertà assoluta (il 13,8% del totale), il valore più alto dal 2014, rispetto al 9,7% della popolazione totale. L’incidenza della povertà minorile è più bassa al Nord (12,9%) e massima nel Mezzogiorno (15,9%), mentre al Centro si attesta al 13,1%. I valori massimi si registrano per i minori tra i 4 e i 6 anni (14,8%) e tra i 7 e i 13 (14,5%), ma sono più alti della media della popolazione anche nella fascia 0-3 anni (13,4%) e in quella tra i 14 e i 17 anni (12,7%). Le famiglie in povertà assoluta in cui sono presenti minori sono quasi 748mila (il 12,4%). Tra le più colpite quelle con 3 o più figli minori (18,8%) e quelle monogenitoriali (14,8%). Le famiglie straniere con minori sono quelle che hanno visto peggiorare maggiormente la loro situazione rispetto al 2022. Tra le famiglie con minori composte da soli stranieri, infatti, la povertà colpisce poco più di 2 famiglie su 5 (il 41,4% contro il 36,1% nel 2022), e tra quelle con stranieri la povertà si attesta al 34,1% (era il 30,7% nel 2022) mentre tra le famiglie con minori di soli italiani il valore è dell’8,2% (era il 7,8% nel 2022).

Povertà infantile in Italia, Save the Children chiede l’istituzione di un Fondo destinato ai Comuni

A lanciare l’allarme è Save the Children, che sottolinea come questa situazione sia una grave ingiustizia sociale con ripercussioni pesanti sui percorsi di vita dei più giovani. “Non possiamo accettare che le condizioni materiali creino una frattura così profonda nella nostra società e un inasprimento ulteriore delle diseguaglianze sociali: è indispensabile mettere il tema della povertà minorile al centro del dibattito pubblico e delle attenzioni di Governo e Parlamento, in particolare alla vigilia dell’avvio dell’esame della legge di bilancio”, dichiara Giorgia D’Errico, Direttrice Public Affairs di Save the Children. “Congedi più lunghi per i padri per favorire l’occupazione e il rientro al lavoro delle madri dopo la nascita di un figlio e in tal modo evitare il rischio di impoverimento delle famiglie insieme a una genitorialità condivisa; sostegni materiali continui e regolari per i neogenitori per far fronte alle spese legate alla prima infanzia e garantire pari opportunità di crescita a bambini e bambine; mense e tempo pieno  alla scuola primaria da definire e finanziare quali livelli essenziali delle prestazioni (LEP) per contrastare la povertà educativa e quella alimentare: sono tutti strumenti fondamentali che non possono mancare per una efficace strategia di prevenzione e contrasto alla povertà di bambini, bambine e adolescenti e delle loro famiglie”, conclude D’Errico.

Un’emergenza che non si può ignorare: perché la povertà che colpisce bambine, bambini e adolescenti in Italia è una grave ingiustizia: incide sui loro percorsi educativi e di crescita, mettendo a rischio le loro opportunità e penalizzando le aspettative per il futuro. Secondo una ricerca condotta da Save the Children più di un adolescente tra i 15 e i 16 anni su quattro in difficoltà economiche (28,1%) afferma che non concluderà la scuola e andrà a lavorare, a fronte dell’8,9% dei coetanei più abbienti. Il 67,4% degli adolescenti in condizione di deprivazione materiale teme che anche lavorando non riuscirà a guadagnare abbastanza, rispetto al 25,9% dei coetanei più benestanti; il 67,3% di non riuscire a trovare un lavoro dignitoso, al riparo dallo sfruttamento (contro il 35,8% delle fasce più abbienti). In questo preoccupante scenario, l’associazione chiede a gran voce che sia istituito un Fondo per il contrasto della povertà alimentare dei bambini e delle bambine, destinato ai Comuni che utilizzano risorse del proprio bilancio, per consentire l’accesso gratuito al servizio mensa agli studenti della scuola primaria appartenenti a famiglie in condizioni di difficoltà economiche. È cruciale, inoltre, che i congedi di paternità siano garantiti ed estesi ad almeno 3 mesi - per arrivare poi a 5, come i congedi di maternità - a tutti i lavoratori, non solo dipendenti; e che l’assegno unico e universale sia incrementato ed esteso nella misura del 50% a tutti i minori tra 0 e 3 anni, a prescindere dal numero di figli presenti nel nucleo familiare.

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