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Pomodoro, stop all’assalto cinese: crollo del 76% dell’export verso l’Italia

- di: Alberto Vicini
 
Pomodoro, stop all’assalto cinese: crollo del 76% dell’export verso l’Italia

Il mercato globale del pomodoro concentrato entra in una fase di profonda ridefinizione. Nei primi nove mesi del 2025 le esportazioni cinesi verso l’Italia sono diminuite del 76%, un crollo che il Financial Times descrive come la più brusca frenata mai registrata nel settore. Un numero che fotografa uno spostamento strutturale, non un incidente statistico.

Pomodoro, stop all’assalto cinese: crollo del 76% dell’export verso l’Italia

La Cina, primo produttore mondiale di concentrato da esportazione, si ritrova ora con scorte accumulate comprese tra 600.000 e 700.000 tonnellate, equivalenti a circa sei mesi di invenduto. Una quantità che pesa sui bilanci delle imprese cinesi, ma che soprattutto segnala un cambiamento di scenario nella domanda europea e italiana.

Etichette, trasparenza e controllo: la stretta parte dall’Italia

A innescare il rallentamento, secondo il quotidiano della City, è stata la pressione crescente sul tema delle etichette fuorvianti utilizzate da alcune aziende italiane nella trasformazione del prodotto importato. La possibilità di immettere sul mercato conserve che richiamano il Made in Italy utilizzando in realtà materia prima cinese ha alimentato, negli anni, un dibattito acceso sulla trasparenza delle filiere.

Il segnale di svolta è stato dato dalle campagne informative che hanno portato a una maggiore attenzione dei consumatori e a un rafforzamento del controllo di filiera. Il FT cita esplicitamente la pressione esercitata da Coldiretti, definita un “fattore chiave” nella riduzione delle importazioni. L’associazione agricola ha infatti promosso negli ultimi mesi una mobilitazione capillare, coinvolgendo consumatori, istituzioni e media e insistendo sulla necessità di proteggere la produzione nazionale da pratiche commerciali giudicate distorsive.

Lo Xinjiang al centro delle tensioni: produzione record e accuse di lavoro forzato


Ma la questione delle etichette non è l’unico motore della frenata. Il secondo fattore – quello più geopolitico – riguarda la regione dello Xinjiang, che negli ultimi anni è diventata il cuore dell’industria cinese del pomodoro. Nel 2024 questa area, abitata prevalentemente dalla minoranza uigura, ha processato 11 milioni di tonnellate di pomodori, più del doppio rispetto al 2021.

Una crescita repentina che coincide con le denunce internazionali sull’utilizzo di lavoro forzato nelle filiere agricole e manifatturiere della regione. Gli Stati Uniti hanno già vietato l’ingresso del concentrato proveniente dallo Xinjiang, mentre l’Unione Europea ha optato per un approccio più graduale, basato su controlli rafforzati, maggiore tracciabilità e obblighi documentali più rigidi.

Ogni lotto destinato al mercato europeo deve ora dimostrare che non esistono violazioni dei diritti umani lungo la catena produttiva. Un onere probatorio che molte aziende cinesi non riescono a soddisfare in modo tempestivo, con inevitabili rallentamenti negli scambi commerciali.

Il contraccolpo per la Cina: sovrapproduzione e rischio dumping

Il combinato disposto tra la stretta europea, le campagne italiane e il blocco statunitense sta producendo in Cina un effetto domino. L’intera filiera del pomodoro lavorato, costruita negli anni su un modello di produzione intensiva destinata ai mercati internazionali, si trova ora sbilanciata.

La sovrapproduzione crea un problema industriale e commerciale di dimensioni rilevanti: stoccaggi pieni, margini ridotti, contratti bloccati e la necessità – sempre più esplicita – di trovare nuovi sbocchi oltre l’Europa occidentale. Un rischio che alcuni osservatori definiscono “tempestoso”, perché potrebbe aprire le porte a dinamiche di prezzi al ribasso e a tentativi di dumping nei mercati con regolamentazioni più deboli.

Il contraccolpo per l’Italia: tra tutela della filiera e revisione delle strategie

Il crollo delle importazioni non è indolore nemmeno per l’industria italiana, che negli ultimi anni ha integrato nelle proprie strategie di approvvigionamento una quota significativa di materia prima cinese, molto competitiva sul piano dei costi. La riduzione delle forniture obbliga i trasformatori a rivedere i contratti di acquisto della materia prima, riallineare i prezzi e rafforzare gli investimenti nella produzione nazionale.

Per Coldiretti e per le organizzazioni agricole italiane si tratta di una “vittoria del metodo”, basata sulla trasparenza e sulla difesa del Made in Italy. Per l’industria, invece, è una fase di transizione complessa: più controlli significano filiere più sicure, ma anche costi maggiori e una competizione globale più dura.

Il nuovo equilibrio del mercato europeo

Sul medio periodo, la riduzione delle importazioni cinesi potrebbe aprire spazi di mercato per Italia, Spagna e Portogallo, i tre principali produttori europei. Ma tutto dipenderà dalla capacità dell’industria continentale di garantire approvvigionamenti stabili e prezzi competitivi in un contesto di domanda internazionale volatile.

Il blocco cinese, inoltre, rende evidente quanto il settore del pomodoro sia ormai un tassello delle dinamiche geopolitiche globali: non più solo un mercato agricolo, ma una filiera che incrocia diritti umani, trasparenza commerciale, regolazione europea e pressioni dei consumatori.

Una partita economica e politica ancora aperta

La montagna di concentrato invenduto in Cina è la fotografia di un cambiamento che supera i confini del commercio agroalimentare. È il risultato di un nuovo equilibrio globale in cui le filiere alimentari non possono più prescindere dalla tracciabilità, dalle condizioni di lavoro e dalla sostenibilità.

Il mercato del pomodoro, apparentemente semplice, diventa così un caso emblematico della trasformazione in atto: una filiera dove l’economia dialoga con la politica e dove la reputazione pesa quanto i costi di produzione.

E l’Italia, per una volta, si trova al centro di questa ridefinizione.

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