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Trump ed Epstein: un biglietto che riaccende il caso

- di: Marta Giannoni
 
Trump ed Epstein: un biglietto che riaccende il caso
Trump ed Epstein: un biglietto che riaccende il caso
Il Congresso pubblica una lettera provocatoria del 2003 — firma contestata, banche sotto accusa, e l’ombra dei segreti…

Trump e quel biglietto del compleanno: che cosa è emerso

I democratici della Commissione per la sorveglianza della Camera hanno reso pubblico un biglietto di compleanno del 2003 dedicato a Jeffrey Epstein e inserito in un album per i suoi 50 anni. Il messaggio compare all’interno di una silhouette disegnata di donna nuda e si chiude con una firma “Donald” collocata sotto la vita.

Il testo dattiloscritto riporta: “Un amico è una cosa meravigliosa. Buon compleanno — e che ogni giorno sia un altro meraviglioso segreto.” È un contenuto esplicitamente allusivo, che rievoca un rapporto confidenziale e gioca con l’idea del “segreto” come cifra di complicità.

La Casa Bianca ha reagito respingendo l’autenticità della firma. “La firma non è di Donald Trump”, è la linea ufficiale. In parallelo, l’entourage del presidente ha ricordato l’azione legale miliardaria promossa contro un quotidiano che aveva già riportato la notizia nei mesi scorsi. Il deputato democratico Robert Garcia, dopo la pubblicazione, ha attaccato con parole durissime: “Questa è la lettera che Donald Trump aveva detto non esistere. Ancora una volta sta mentendo agli americani e sta manovrando la Casa Bianca per coprire i fatti.”

Il documento, a prescindere dai profili forensi, riaccende l’attenzione politica e mediatica su un capitolo mai davvero chiuso: la rete di relazioni intorno a Epstein, le zone grigie, la gestione comunicativa dell’esecutivo.

Il ruolo controverso della grande finanza nella rete epstein

In coincidenza con la pubblicazione del biglietto, è tornata d’attualità l’analisi sul rapporto tra Epstein e i grandi istituti. Dagli atti e dalle ricostruzioni emerse negli ultimi anni affiora una trama bancaria fatta di conti, transazioni e referenze che avrebbero sostenuto — direttamente o indirettamente — l’operatività del finanziere.

Secondo queste ricostruzioni, segnalazioni interne allarmate sarebbero state ripetutamente ignorate o sottovalutate. In più occasioni, pur venendo a conoscenza di indagini o di profili di rischio elevati, i vertici avrebbero preferito mantenere il cliente, confidando nelle rassicurazioni del suo staff legale. Nel frattempo, la relazione avrebbe generato ricavi per il private banking, con Epstein accreditato come procacciatore di clienti, facilitatore di operazioni e consigliere informale su scelte strategiche, perfino durante la detenzione in Florida.

In questo contesto spicca la figura di Jes Staley, allora tra i manager più influenti e vicino alla massima leadership. L’istituto ha poi ammesso pubblicamente che quel rapporto fu, col senno di poi, un errore. Come sintetizzato dal portavoce Joseph Evangelisti: “Ora sappiamo che la fiducia era mal riposta. Il rapporto con Epstein è stato un errore e ce ne pentiamo; non lo abbiamo aiutato a commettere i suoi crimini efferati.”

Il nodo centrale resta il funzionamento dei controlli: quanti avvisi furono inoltrati, chi decise di procedere e perché? Sono domande che non riguardano solo un singolo dossier, ma il modello di governance del sistema finanziario quando incrocia clienti ultraricchi e profili reputazionali problematici.

Che cosa ci dicono questi segnali

La sequenza di eventi disegna un quadro preciso. Primo: il biglietto del 2003, con il suo immaginario esplicito e la formula del “segreto”, riporta in primo piano una relazione ingombrante, politicamente tossica e comunicativamente ingestibile. Secondo: la negazione della Casa Bianca — netta e assoluta — apre una partita di autenticità che potrà vivere di perizie e contraddittorio, ma nel frattempo produce un effetto immediato: tiene la storia sulla cresta dell’onda.

Terzo: la dimensione finanziaria del caso — fatta di transazioni, segnalazioni e rapporti privilegiati — racconta come la ricchezza e la prossimità al potere possano piegare la fisiologia dei controlli. Infine, l’insieme di questi elementi mette pressione al Congresso e agli organi di vigilanza affinché emergano responsabilità e omissioni, senza più alibi procedurali.

Un test di trasparenza democratica

Al netto delle verifiche tecniche, questo caso è un test di trasparenza democratica. Il biglietto allusivo, la reazione presidenziale, i retroscena bancari: tasselli che, combinati, raccontano la permeabilità del potere alle relazioni personali e alle rendite di posizione. Il “segreto meraviglioso” evocato nel messaggio, sul piano pubblico, si traduce in un’esigenza opposta: ricostruire fatti, date e decisioni, assegnare responsabilità, impedire che l’opacità diventi prassi. È qui che si misurano credibilità delle istituzioni e tenuta dei controlli.

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