Dal Titolo V nel 2001 al 2016 di Renzi-Boschi: quando chi governa spinge per il voto. Nordio indica “fine marzo–metà aprile” per la consultazione: ecco perché la tempistica conta e come funziona davvero il meccanismo costituzionale.
(Foto: Matteo Renzi).
Non è la prima volta che chi ha scritto la riforma chiede anche il referendum. Accadde nel 2001 con la revisione del Titolo V e, quindici anni dopo, nel 2016 per il superamento del bicameralismo paritario. Non era un tabù allora, non lo è oggi: la Costituzione lo consente e la politica lo usa quando conviene polarizzare il giudizio degli elettori.
Il 2016 che trasformò il referendum in un voto su Renzi
Nel 2016 la riforma Renzi-Boschi, approvata definitivamente ad aprile, arrivò al giudizio popolare senza quorum. La campagna cambiò segno quando Matteo Renzi personalizzò la sfida: “Se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza politica”, disse più volte. La sera del 4 dicembre il No vinse con larga maggioranza e un’affluenza oltre il 65%; poche ore dopo, il premier annunciò le dimissioni: “Il mio governo finisce qui”. La personalizzazione rese il voto un plebiscito sul leader, con effetti immediati sull’esecutivo.
Il primo test del 2001 sul Titolo V
Il 7 ottobre 2001 si celebrò il primo referendum costituzionale della storia repubblicana: affluenza attorno a un terzo degli aventi diritto e Sì in netta prevalenza sulla riforma del Titolo V. La bassa partecipazione non incise: il confermativo non prevede soglia minima di votanti.
Perché la maggioranza raccoglie le firme
L’articolo 138 prevede che, se in seconda lettura non si raggiunge il traguardo dei due terzi, entro tre mesi si possa chiedere il referendum da un quinto dei membri di una Camera, da 500 mila elettori o da cinque Consigli regionali. Nulla vieta alla maggioranza di promuovere la richiesta: nella prassi l’istituto è spesso un volano per le opposizioni, ma può diventare un’investitura popolare per chi governa. Il rischio? Trasformare la scheda in un giudizio sul governo.
La finestra temporale conta
La legge 352/1970 stabilisce che, una volta indetto, il referendum si tiene in una domenica tra il 50° e il 70° giorno dal decreto. La finestra indicata dal Guardasigilli Carlo Nordio – “fine marzo–metà aprile” – è compatibile con l’iter e consente di evitare sovrapposizioni con altre scadenze. In termini politici, più breve è la campagna, più conta arrivare pronti su messaggi e mobilitazione.
Confermativo, istruzioni per l’uso
Niente quorum: decide la maggioranza dei voti validi. Tre mesi per le richieste, passaggio in Cassazione, deliberazione del Consiglio dei ministri e decreto di indizione: poi si vota tra 50° e 70° giorno. Se il Parlamento centra i due terzi, il referendum non si tiene.
Lezioni dalla storia recente
Uno, personalizzare scalda i sostenitori ma può ritorcersi contro. Due, la finestra primaverile favorisce chi ha già l’architettura narrativa. Tre, il merito conta, ma spesso a decidere è la politica.