Scontro su giustizia e informazione dopo le parole del ministro; l’Ordine dei giornalisti ribadisce i confini della democrazia e il ruolo civile della stampa.
(Foto: Carlo Bartoli, presidente Ordine dei giornalisti).
Il ministro accende la miccia sul rapporto tra toghe e media
All’Etna Forum di Ragalna (Catania) il ministro della Protezione civile e del Mare, Nello Musumeci, ha scelto una retorica drastica per denunciare quella che considera una distorsione del sistema. Dal palco, ha affermato: “La magistratura è politicizzata… gran parte dei magistrati che ha fatto carriera in Italia proviene dalle file della sinistra… il magistrato ha il compito di fare il ‘killer’, la stampa il compito di darne notizia”, parole con cui ha inteso scuotere l’opinione pubblica.
Nel suo ragionamento, l’asse indagini–notizie avrebbe prodotto carriere politiche “bruciate” prima del giudizio finale. Ha proseguito: “Molti politici sono stati incriminati e sbattuti in prima pagina come mostri, salvo poi essere assolti o prosciolti; intanto la carriera è stata distrutta”, ha sostenuto Musumeci. E ancora, il tema delle fughe di notizie: “Chi trasmette gli atti riservati dal Palazzo di giustizia alle redazioni?”, ha domandato il ministro.
La risposta delle toghe: indignazione e richiamo alla Costituzione
La reazione dell’Associazione nazionale magistrati è stata immediata e netta: definire i magistrati “killer” è un attacco all’autonomia della giurisdizione e un tentativo di delegittimare chi applica la legge nell’interesse dei cittadini. Le toghe hanno ricordato il ruolo quotidiano della magistratura nel contrasto alla criminalità, richiamando chi ha incarichi di governo a misurare le parole quando si parla delle istituzioni di garanzia.
L’ordine dei giornalisti in trincea: Bartoli fissa i paletti
Il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, ha ricondotto il dibattito entro il perimetro dei doveri pubblici. Ha detto: “Il contributo di sangue pagato in Italia da magistrati e giornalisti per aver fatto il proprio dovere è stato altissimo”. Secondo Bartoli, chi tenta di delegittimare queste funzioni mette in discussione l’autonomia di chi, per mandato costituzionale, deve vigilare su chi detiene il potere, “di qualunque colore esso sia”.
Il giudizio sulle parole del ministro è senza equivoci. Bartoli ha definito l’affondo “un inaccettabile insulto” e il segno di uno scivolamento verso una deriva autoritaria. Ha ricordato che non viviamo in un Paese senza criminalità organizzata o corruzione e che molte vicende sono emerse grazie al lavoro dei giornalisti. Chiusura, ancora più chiara: “Sappiamo che la stampa spesso provoca fastidio a molti esponenti della politica, del potere economico, delle istituzioni; ma è il nostro compito”, ha concluso Bartoli.
Il rischio della polarizzazione lessicale
La metafora del “pm killer” non è una semplice iperbole: è scelta di campo in un conflitto che trasforma il dibattito pubblico in una prova di forza, dove magistratura e stampa vengono dipinte come avversari della politica. Questa strategia polarizza e sposta l’attenzione dalle riforme possibili, mentre mette in tensione il principio di separazione dei poteri.
La contro-reazione di ANM e Odg conferma che gli anticorpi istituzionali sono vivi: difesa del perimetro costituzionale, richiami alla responsabilità del linguaggio pubblico, riaffermazione del ruolo civico del giornalismo. In gioco non c’è il merito dei singoli casi, ma la legittimità di chi controlla e racconta il potere. Se la politica sceglie lo scontro retorico, è la qualità della democrazia a pagare il prezzo.