La linea del governo e l’incidente di maggioranza.
(Foto: Raffaele Nevi, portavoce nazionale di Forza Italia).
La misura sull’aumento dell’aliquota al 26% per gli affitti brevi – anche nel caso di una sola abitazione data a uso turistico – è il primo vero scivolamento interno alla maggioranza sulla manovra. Non è un dettaglio fiscale: è l’unico punto sul quale Forza Italia ha scelto di esporsi subito e pubblicamente. Il portavoce Raffaele Nevi parla di “scelta profondamente sbagliata” e, soprattutto, di metodo: “Non siamo stati informati, l’abbiamo letta nelle bozze”, ha detto Nevi. Quando un partito rivendica la procedura prima ancora del merito, significa che segnala un problema politico, non tecnico.
Perché la casa è un totem per il centrodestra
La contestazione non riguarda solo l’aumento. Riguarda il cambio di filosofia: nella cultura economica di FI la casa è patrimonio privato, risparmio familiare e bene rifugio, non rendita speculativa. Trasformarla fiscalmente in un asset da colpire come una plusvalenza significa mettere la proprietà dentro la categoria della “ricchezza improduttiva”. È lì che passa la linea di frattura con Palazzo Chigi: per Meloni la correzione di mercato è legittima, per FI è un cedimento al principio che lo Stato possa intervenire su un bene identitario.
L’equiparazione che fa esplodere lo scontro
Il riferimento più duro è quello alle criptovalute. Nella stessa bozza, lo Stato abbassa dal 33% al 26% il prelievo sugli stablecoin e alza al 26% quello sugli affitti brevi. Il messaggio percepito da FI è chiaro: il piccolo proprietario viene trattato come un trader digitale. La casa come Bitcoin. Un’equiparazione politicamente inaccettabile per gli azzurri perché toglie alla proprietà immobiliare la sua funzione sociale: bene trasmesso, accumulato, difeso, non strumento speculativo momentaneo.
Le ricadute nel campo della maggioranza
Questo spiega perché la reazione non è arrivata dai governatori o dai sindaci ma dal partito: Forza Italia difende la sua ragione sociale, quella che sopravvive a Berlusconi proprio nella tutela della proprietà privata come leva di stabilità. FdI, invece, sta impostando la manovra sulla selettività: colpire ciò che non produce ricaduta sociale diretta e ridurre le aree di protezione. È una frattura culturale più che fiscale. La casa, per FI, è identità; per FdI, in questo perimetro, è rendita.
Perché questo dossier pesa più degli altri
L’episodio assume rilevanza perché è il primo banco di prova sulla gerarchia dei valori economici della maggioranza. Finché si trattava di bonus, tagli o incentivi, l’equilibrio ha retto. Sul terreno della proprietà immobiliare la coalizione si divide: FdI disciplina, FI tutela. L’opposizione non c’entra: lo scontro è interno. È il punto in cui la manovra smette di essere un bilancio e diventa un’identità economica.
Il messaggio politico dietro lo scontro
La partita ora non è numerica, ma simbolica: se passa questa impostazione, FI teme un precedente. Se lo Stato può trattare la casa come profitto finanziario, allora il perimetro della tutela — e quindi dell’elettorato moderato tradizionale — si restringe. La casa era ciò che distingueva il centrodestra italiano da quello europeo: il mattone come radicamento sociale, non come asset.
Ecco perché lo scontro non è chiuso, ma appena aperto. Per FdI è una misura “redistributiva correttiva”; per FI è la cancellazione del confine tra reddito e proprietà. Da qui in poi la manovra non sarà più solo discussione sui conti: sarà prova di forza tra due idee di centrodestra. Una che controlla il mercato, e una che difende la proprietà. Ed è su questo terreno che l’alleanza sarà realmente stressata in Parlamento.