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Poliomielite no, bombe in testa sì

- di: Barbara Leone
 

Gaza è un luogo dove la morte e la devastazione sono ormai da tempo, troppo tempo, la “normale” quotidianità. In una terra assediata, dove la popolazione civile, e in particolare i bambini, vengono bersagliati senza pietà da bombardamenti e raid quasi  24 ore su 24, la lotta per la sopravvivenza si scontra con ogni tipo di privazione. La fame è endemica, le infrastrutture sanitarie sono al collasso, e la mancanza di beni di prima necessità rende ciascun giorno che Dio manda in Terra una battaglia per la vita. Ogni sorriso spezzato, ogni piccolo corpo sepolto sotto le macerie racconta una storia di innocenza tradita. In questo inferno quotidiano, dove la morte sembra essere l'unica certezza, parlare di vaccinazioni suona come una beffa crudele.  Il paradosso è sconcertante: bambini che potrebbero essere vaccinati contro la poliomielite, per poi essere uccisi dalle bombe che piovono incessantemente dal cielo. È come se si stesse dicendo loro: “Ti proteggeremo da una malattia debilitante, ma non possiamo proteggerti dal proiettile che potrebbe strapparti la vita da un momento all'altro”.

È una situazione che va oltre l'assurdo, sfociando in una crudeltà che sembra quasi una presa in giro studiata a tavolino. La proposta dell'Onu, sette giorni di tregua per poter vaccinare 680mila bambini, mette in luce tutta la follia di un mondo in cui le priorità sembrano essere completamente distorte. In un luogo dove la vita di un bambino è appesa a un filo sottile, l'idea di concentrarsi su una campagna vaccinale, pur lodevole in un contesto di pace, appare come un'operazione ipocrita e pure cinica. La sensazione, che è ben più di una sensazione, è che le istituzioni internazionali, che dovrebbero essere i garanti assoluti dei diritti umani, abbiano perso ogni contatto con la realtà. E con le priorità. Di fronte a un genocidio quotidiano in Palestina, il loro pensiero va alla prevenzione della poliomielite, come se questa fosse la minaccia più urgente. Ma quale senso ha proteggere un bambino da una malattia, quando lo stesso bambino è destinato a morire di lì a poco sotto un bombardamento? Questa è la domanda che si pone chiunque guardi con lucidità alla situazione.

Quello di cui i bambini di Gaza hanno davvero bisogno non è un vaccino, ma la fine della guerra. La pace, il cibo e un ambiente sicuro sono le prime necessità di una popolazione che vive in un inferno in terra. Vaccinare i bambini contro la poliomielite mentre si continua a bombardarli, è un atto di stoltezza, se non addirittura una crudeltà insensata. Un modo per prolungare la loro sofferenza senza affrontare la causa principale del loro martirio: la guerra stessa. Il solo “vaccino” di cui hanno bisogno è quello contro la guerra. La fine delle ostilità: l'unica soluzione capace di dare una speranza di futuro a queste creature disperate. Senza pace, ogni altro intervento, per quanto lodevole, è destinato a fallire. È inutile parlare di prevenzione sanitaria quando il problema primario è la sopravvivenza di base. Senza un cessate il fuoco duraturo, senza la fine del blocco, senza la garanzia di diritti umani fondamentali, la vaccinazione contro la poliomielite diventa un atto vuoto, un simbolo dell'incapacità del mondo di affrontare le vere cause della sofferenza in quella tormentata Striscia di terra. Ed è commovente, e sconvolgente al tempo stesso, pensare alla follia di questo scenario: bambini che vengono vaccinati per garantire la loro salute, solo per essere uccisi poche ore, giorni o settimane dopo. È come se il mondo avesse accettato la morte di questi piccoli, preoccupandosi solo che muoiano “in buona salute”.

Un paradosso che è il riflesso di una società globale allo sbando, che ha completamente perso la bussola morale. E ciò senza nulla togliere ai benefici di un vaccino che negli anni ha salvato milioni di vite in tutto il mondo. Ma diciamoci la verità: a Gaza la poliomelite è l'ultimo dei problemi. La priorità assoluta deve essere la fine della guerra. Solo allora sarà possibile parlare di salute, di istruzione, di un futuro per una generazione che rischia di essere cancellata. Perché bambino di Gaza che muore, e non solo di Gaza, ovviamente, perché di guerre ce ne sono tante, è un fallimento dell'intera umanità. Un grido di dolore che risuona nel silenzio complice del mondo. Lasciamo che questo grido ci scuota, che ci costringa finalmente ad agire. Non possiamo più permetterci di restare spettatori. Dobbiamo fermare questa carneficina, dobbiamo restituire loro il diritto più sacro: quello di vivere. Solo allora, solo quando la pace tornerà a regnare su Gaza, potremo parlare di un futuro per questi bambini, e potremo sperare che il loro sorriso, anziché spegnersi, illumini il mondo.

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