Geopolitica: possibile ruolo chiave dell'Europa ma solo se sarà unita

- di: Roberto Pertile
 
Con l’invasione militare della Ucraina, da parte della Russia, si è chiuso il ciclo apertosi con la caduta del muro di Berlino. Con la chiusura, dunque, del ciclo Berlino-Kiev si realizza il fallimento della integrazione della Russia nei mercati delle democrazie occidentali. In altre parole, si dimostra, ancora una volta, che è un’illusione il modello neo-liberista in base al quale il mercato, libero da ogni vincolo, risolve tutti i problemi anche quelli geopolitici. Questo fallimento non mette, però, in discussione il futuro del capitalismo, suggerisce, piuttosto, di intervenire sui suoi limiti.

L'Europa potrà essere efficace nello scenario geopolitico mondiale, ma solo se agirà unita

La attuale guerra Russia-Ucraina ha un effetto profondo e immediato sulla convivenza dei popoli: lo sviluppo dei commerci, come si è illusoriamente creduto, non assicura la pace. La guerra ha tagliato il ponte tra le democrazie occidentali e la Russia. Mosca sta rinnegando la sua storia europea per dare spazio alla sua anima asiatica, fonte ispiratrice dell’alleanza con la Cina, finalizzata a dare vita ad un asse politico ed economico alternativo a quello occidentale; cioè, a quelle democrazie che irritano Putin, che ha nostalgia del vecchio modello sovietico.

Negli ultimi decenni, la scuola di Chicago, con il suo caposcuola Friedman, ha condizionato le scelte di politica economica delle principali economie occidentali, nella convinzione che le politiche neoliberiste potessero ottenere positivi risultati anche d’ordine politico e sociale, tra cui l’integrazione democratica della Russia.
In realtà, il vecchio muro di mattoni di Berlino viene sostituito da nuovi muri immateriali - tecnologici, finanziari, culturali, politici - con l’effetto immediato di ridisegnare il processo di globalizzazione che è stato il grande protagonista dello sviluppo del mondo in questi decenni. È un ridimensionamento con al centro la formazione di filiere tecnologiche e commerciali meno globali, meno estese delle attuali, più circoscritte a livello di singolo continente o subcontinente: è un cambiamento significativo che riapre la concorrenza tra le imprese, con un’importante apertura anche alle piccole e medie imprese, che le mette in grado di operare su mercati più accessibili alla loro dimensione.

Fanno parte della futura globalizzazione scenari produttivi rimessi in moto tempestivamente anche per recuperare l’enorme ricchezza distrutta con il coronavirus. Sono facilmente prevedibili scontri per la futura leadership tra Cina e Usa. Un settore strategico, senz’altro, sarà la tecnologia “5G”, che consente di avere il controllo commerciale del comparto strategico dell’Intelligenza Artificiale. Altrettanto importante è il nuovo assetto competitivo nell’energia, dove viene eretto il nuovo muro antirusso: Usa e Europa, alleate, si contendono il mercato per ridimensionare il peso economico della Russia. Al tempo stesso, la Cina cerca di approfittare della messa in discussione della vecchia globalizzazione per incrinare il potere degli Usa. La supremazia Usa rimane, per ora, intoccabile nella finanza internazionale: il dollaro è la moneta dominante negli affari, anche se la Cina non rinuncia ad avere velleità finanziarie.

In verità, i primi cambiamenti nella struttura della globalizzazione si possono far risalire alla crisi del 2007. Da allora, i nuovi equilibri stanno producendo un progressivo aumento dei costi dal lato dell’offerta, mentre la domanda risente di una sensibile riduzione della capacità di assorbimento dei prodotti finali.
I mutamenti nelle filiere globali hanno anche prodotto copiose perdite di posti di lavoro, con un crescente malessere dei lavoratori. Infatti, se la globalizzazione estesa ha diffuso ricchezza in molti paesi, il suo chiudersi in confini più ristretti potrebbe avviare processi di contrazione del valore economico. La ricerca, cioè, di una nuova autonomia produttiva con politiche regionali di approvvigionamento può stimolare una nuova competitività a vantaggio del capitale di produzione.

I futuri assetti mondiali sono messi in discussione anche dalla nuova composizione del campione delle principale imprese multinazionali. Fino al qualche anno fa, le prime 500 imprese del mondo erano essenzialmente statunitensi; ora le imprese Usa sono 125, mentre quelle cinesi sono 135, mettendo in discussione la leadership statunitense. Il quadro è multipolare: le imprese europee sono 130, quelle giapponesi 53. Significativo dei rapporti di forza esistenti è il ridotto numero delle multinazionali russe: solamente quattro. Quindi, una Russia assorbita dalla Cina? Può prevalere uno scenario duale, Usa-Cina? Qualche dubbio rimane perché le multinazionali cinesi presentano delle gravi debolezze, come l’essere poco “strutturate” e molto dipendenti dai mercati di sbocco delle potenze occidentali, di cui le imprese cinesi non possono fare a meno.
Inoltre, l’attuale alleanza strategica Cina-Russia, con l’obiettivo di indebolire gli Usa, non appare indissolubile: la Cina non ha interesse a pregiudicare la sua capacità di penetrazione nei ricchi mercati occidentali. È un “must” vitale.

Si ripresenta, così, l’importanza del dinamismo tecnologico del capitalismo occidentale, fattore determinante dello sviluppo economico e della prevalenza dell’Occidente nello scontro competitivo tra il capitalismo dell’autocrazia cinese e quello delle democrazie occidentali. In questa sfida, un’Europa unita, che sa essere un unico soggetto politico, può svolgere un ruolo geostrategico di primo piano ed essere un presidio dei valori secolari di cui è intrisa la storia europea come soggetto promotore di libertà. Avremmo, così, una globalizzazione multipolare, migliore salvaguardia della democrazia rispetto all’oligopolio Usa-Cina.
Si opera in uno scenario internazionale in movimento: gli assetti economici che hanno caratterizzato i decenni passati vengono messi in discussione, soprattutto per l’azione cinese che mira ad indebolire le economie occidentali, usando anche l’alleato russo. Le democrazie europee, in particolare, sono sfidate ad essere capaci di ricostruire rapidamente il benessere messo in discussione dalla pandemia. Per l’Europa significa saper fare riforme strutturali che le consentano di avere, tra l’altro, una strategia competitiva nei confronti di Pechino, che appare ancorato sempre più ad una visione autocrate e imperiale del futuro, anche nella salvaguardia dei lavoratori, con investimenti nella formazione permanente, e con una serie di riforme di alto profilo che tengano conto della dignità dell’uomo.
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