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Pd: l'addio di Cottarelli è la conferma di un malessere che si fa strada

- di: Redazione
 
Pd: l'addio di Cottarelli è la conferma di un malessere che si fa strada
L'annuncio che Carlo Cottarelli lascia il Senato e il Pd non è soltanto la conferma del galantomismo del professore (che preferisce, a Palazzo Madama, il compito di divulgatore, che gli è sempre stato più a cuore di una carriera politica) è la conferma del malessere, nemmeno più tanto strisciante, che si manifesta in seno al Partito democratico, con l'avvento di Elly Schlein alla segreteria.
Prendendo atto delle parole con cui Cottarelli ha ufficializzato la sua decisione (''C'è in questo momento storico, forse non è stato così in passato, ma in questo momento storico, un'estrema conflittualità fra le due parti del Parlamento, fra la minoranza e l'opposizione. E possibile che non ci sia altro modo di fare le cose, però non è proprio nelle mie corde''), non resta che rilevare che ormai dentro il Pd si muovono due anime che sembrano non potere, oggettivamente, andare verso una comune direzione, comunque senza che questo sia il segnale di spaccature che possano sfociare in scissioni. Quello di Cottarelli è un gesto, per così dire, estremo, ma anche coraggioso perché spacca il fronte della consuetudine che induce la maggioranza degli eletti ad un consesso nazionale a traccheggiare, a sfruttare sino all'ultimo la possibilità di lucrare anche economicamente sul loro incarico.

Pd: l'addio di Cottarelli è la conferma di un malessere che si fa strada

Per sua fortuna, Cottarelli non ha certo bisogno dello stipendio da senatore e questo lo ha probabilmente spinto ad anticipare l'atto formale delle dimissioni. Ma non è il solo ad avvertire il malessere di una convivenza con la nuova segretaria e la nuova segreteria, dove alcuni punti fondanti che erano alla base del Partito sembrano abbiano perso efficacia e forza. Al punto che in molti di coloro entrati nel Pd e provenienti dall'esperienza cattolica si chiedono se abbia ancora un senso restarci, essendo venuta a mancare la premessa. Cioè, quella che voleva il Pd come una sintesi tra anime diverse, ma accomunate dalla stessa matrice dichiaratamente democratica, senza che questa definizione fosse necessariamente connotata ideologicamente, ma dimostrandosi soltanto come il desiderio di dare al Paese una strutturazione rispettosa di quella Costituzione verso cui oggi si avvertono strani sommovimenti.

Elly Schlein ha fatto una scelta diversa, che sta pagando in termini di aumento del consenso, ma che appare come poco rispettosa di tutte le anime del Partito democratico, che non è, né può essere, solo marcato da una evidente connotazione di sinistra a dispetto dalle componenti che non si riconoscono in nostalgie del Pci.
La difesa dei diritti - tutti, da quelli della persona a quelli dei lavoratori - è un obbligo, al quale nessuno si deve sottrarre. Ma non è la priorità di un partito che deve guardare al Paese nella sua interezza, magari sacrificando le aspirazioni massimalista che qualche suo odierno esponente manifesta a raffica.

La stessa composizione che Schlein ha voluto dare alla nuova segreteria non è una immagine di coesione, che era necessaria dopo la dura campagna elettorale tra lei e, soprattutto, Bonaccini, ma il tentativo, maldestro, di mostrare la propria forza imponendo persone e personaggi che sino a ieri accusavano il Pd di ogni cosa e oggi paradossalmente lo rappresentano, a dispetto di chi magari, in silenzio e sul territorio, ha fatto delle idee del Partito una bandiera.

Forse è presto per parlare di una diaspora, ma il segretario del Pd dovrebbe cominciare a riflettere su quello che il Partito - inteso come persone che lo sostengono - vuole veramente e che non è necessariamente una repentina sterzata verso una ideologia che in molti pensavano fosse stata accantonata. Il Pd è il frutto di una confluenza di volontà e speranze e non può dimostrarsi come l'espressione di una élite ideologica per come oggi si manifesta, con una segreteria che, piuttosto che aprirsi a tutte le istanze del Partito, sembra essersi racchiusa in un gruppo ristretto, da cui - chiamiamoli con il loro nome - gli ex democristiani (al di là di qualche inaffondabile, che resta sempre a galla) si sentono esclusi, se non emarginati, quasi che non siano stati anche loro parte del progetto e, quindi, della sua realizzazione.
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