Orsini chiama il governo: «Non vogliamo un ministro da copertina, ma misure serie», mentre Urso annuncia un libro bianco e una nuova politica industriale.
In una mattinata che segna un passaggio decisivo per il confronto tra imprese e governo, l’assemblea congiunta di Confindustria Verona e Vicenza a Gambellara ha assunto toni ben più che formali: è suonato un allarme sistemico per il modello produttivo italiano. Confindustria chiede al governo misure stabili, continuità negli incentivi e un piano industriale duraturo, mentre il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, risponde annunciando il lancio imminente di un libro bianco “Made in Italy 2030”. Tra accuse, rilanci e numeri, il confronto entra nel vivo.
Pressione alta, toni decisi
Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, non ha risparmiato punzecchiature:
“A me fa piacere che noi arriviamo sotto al 3 %, però a noi non serve un ministro della copertina più bella d’Europa”
Con queste parole – indirizzate anche a Urso e al ministro Giancarlo Giorgetti – ha lanciato una sfida chiara: non serve l’immagine, serve la sostanza. Ha chiesto che il governo ascolti una piattaforma da 8 miliardi per i prossimi tre anni, con strumenti definiti, automatismi e variabili certe. L’obiettivo: dare alle imprese la possibilità di programmare nel tempo.
Orsini ha ribadito che serve “debito buono”, quell’investimento che moltiplica ricchezza nel Paese: «Abbiamo messo 5,6 miliardi in due anni e generato 28 miliardi di investimenti», ha ricordato, evocando l’impatto della Zes (Zona economica speciale).
Sul fronte territoriale, è intervenuta la presidente di Confindustria Vicenza, Barbara Beltrame Giacomello, che ha attaccato la misura Transizione 5.0:
“È stato un flop: 800 milioni richiesti su oltre 6 miliardi.”
Controreplica Urso: “Transizione 5.0 assorbirà in poco più di un anno 2,5 miliardi.”
Da Verona, il presidente locale Giuseppe Riello ha aggiunto un tema piuttosto spinoso: *bonus bebé e provvedimenti simili non bastano a invertire il trend demografico. Servono infrastrutture, servizi per la natalità, sostegno concreto alle famiglie*.
Ancora una volta, sull’energia, Orsini alza il tiro: *“La parola d’ordine è disaccoppiamento: non può essere che oggi l’elettricità sia legata al prezzo del gas. È insostenibile.”* Con un monito finale: *“Se non agiamo subito, rischiamo una delocalizzazione silenziosa che impoverisce i nostri territori.”*
La risposta del governo: libro bianco, incentivi e dialogo
Il ministro Adolfo Urso ha preso atto delle richieste industriali e rilanciato un proprio piano:
– si lavora al Libro bianco Made in Italy 2030, che definirà la linea strategica nazionale per cinque anni;
– si studia un nuovo incentivo che combini e porti avanti le migliori pratiche di Industria 4.0 e Transizione 5.0;
– si è avviato un confronto con il Ministero dell’Economia per reperire risorse nazionali che affianchino quelle del PNRR.
Ha dichiarato:
“Stiamo confrontandoci con il ministro dell’Economia […] perché ci siano risorse in bilancio che possano consentire di raggiungere l’obiettivo che Confindustria ci pone”
Del resto, già nel 2024 il Ministero delle Imprese aveva presentato un Libro verde “Made in Italy 2030”, aprendo una consultazione pubblica che avrebbe portato al successivo Libro bianco
Urso intende dunque trasformare quella visione in una roadmap concreta da qui al 2030. (vedi anche dichiarazioni su PMInews, 19 febbraio 2025)
Quanto ai tempi: Urso ha indicato che il libro bianco sarà pronto “nelle prossime settimane” e che le risorse aggiuntive dovrebbero affiancare quelle già stanziate dal PNRR.
Sulle critiche alla Transizione 5.0, il governo ribatte che l’assorbimento è già in corso e che la misura farà meglio dell’originale Industria 4.0 nei primi anni.
Qualche numero per capire
– Il documento “Investimenti per muovere l’Italia” di Confindustria rileva che gli incentivi del 4.0 hanno contribuito in modo significativo all’aumento degli investimenti negli ultimi anni, pur senza colmare il gap con le economie avanzate.
– Si stima che, se anche solo l’1 % della ricchezza immobilizzata nei depositi delle famiglie italiane fosse spostato verso investimenti produttivi, si potrebbero ottenere circa 15 miliardi di nuovi investimenti.
– Nel quadro del PNRR (2025–2026), le risorse ancora disponibili ammontano a circa 130 miliardi, ma la sfida è spenderne la metà senza sprechi.
– Mentre Industria 4.0 ha assorbito meno di 900 milioni nel primo anno, il governo afferma che Transizione 5.0 possa superare i 2,5 miliardi in un anno.
Criticità e scommesse aperte
1. Continuità degli incentivi
Il nodo più urgente: evitare che strumenti chiave scadano senza sostituti stabili. Orsini chiede che per le PMI gli incentivi diventino automatici, senza dover correre ogni volta a negoziare i nuovi stanziamenti.
2. Velocità dell’attuazione
I tempi amministrativi – richieste, controlli, approvazioni – restano un ostacolo serio per i grandi progetti. Orsini insiste: oggi un’istruttoria può durare 2-3 anni; serve ridurla a pochi mesi.
3. Sostenibilità energetica
Il “disaccoppiamento” tra elettricità e gas è una priorità che trova riscontro in molte richieste industriali: senza un mix energetico stabile e competitivo, il costo dell’energia resta una zavorra.
4. Equilibrio territoriale
Confindustria spinge per una Zes unica nazionale che garantisca la stessa certezza del diritto nel Sud, e non come misura frammentata o temporanea.
5. Legittimazione e coesione sociale
Orsini ha chiesto aiuto al governo per “far capire a Giorgetti” le istanze dell’industria: serve un dialogo chiaro tra esecutivo, imprese e parti sociali. I prossimi mesi saranno terreno di scontro e negoziazione politica.
Un passaggio simbolico e concreto
L’assemblea di Gambellara segna un passaggio simbolico e concreto: l’industria italiana ha alzato il tiro, vuole misure stabili e non emergenziali, e pretende che il governo risponda con azioni strategiche e armi legislative piuttosto che con annunci estetici. Il governo ha mostrato apertura – libro bianco, incentivi in divenire, confronto con il Mef – ma il diavolo starà nei dettagli: risorse certe, tempi rapidi e applicazione concreta. Se le promesse resteranno mere parole, il rischio di una “delocalizzazione silenziosa” non sarà uno slogan, ma un destino reale che molti territori già vivono.