Dossier Ain, intesa con Anima e legge delega ridisegnano il ritorno dell’atomo tra crescita promessa e interrogativi aperti.
(Foto: un reattore nucleare prima di andare in funzione).
L’atomo torna ufficialmente nella stanza dei bottoni della politica energetica italiana.
L’Associazione italiana nucleare (Ain) ha presentato il dossier
“Nucleare in Italia: dal dire al fare”, affiancato da un
memorandum d’intesa con Anima Confindustria sulla filiera industriale,
mentre il Governo porta in Parlamento la legge delega sul “nucleare sostenibile”.
Sul tavolo ci sono numeri che fanno gola: un impatto potenziale fino al 2,5% del Pil,
oltre 117.000 nuovi posti di lavoro entro il 2050, e una
supply chain europea fino al 90% autonoma per sostenere una domanda elettrica
spinta da digitalizzazione, data center e intelligenza artificiale.
Ma dietro le slide ottimistiche si muove un panorama molto più complesso:
tempi lunghi, costi elevati, forte opposizione di una parte del mondo scientifico e ambientalista,
concorrenza serrata delle rinnovabili e un’opinione pubblica che ha già bocciato il nucleare
in due referendum, nel 1987 e nel 2011.
Il dossier Ain: Pil, occupazione e catena del valore
Il dossier presentato da Ain durante la Giornata annuale a Roma del 10 dicembre
mette nero su bianco lo scenario che l’associazione propone come “ritorno industriale” del nucleare.
Secondo le stime, un programma di nuovi impianti potrebbe generare
un impatto economico complessivo pari a circa il 2,5% del Pil e creare
oltre 117.000 posti di lavoro entro il 2050, di cui circa 39.000 diretti nella filiera industriale.
Questi numeri non nascono dal nulla: riprendono e aggiornano le valutazioni di
studi realizzati da The European House – Ambrosetti con
Edison e Ansaldo Nucleare e dal rapporto congiunto Confindustria–Enea,
che già stimavano un mercato complessivo superiore ai 50 miliardi di euro
e fino a 117.000 occupati in uno scenario di sviluppo di
reattori di piccola e media taglia (Smr e Amr) per circa 7 GW
installati tra il 2035 e il 2050.
Il valore aggiunto, nelle intenzioni di Ain, non sarebbe solo energetico ma
anche geopolitico: si punta a una filiera europea autonoma per il 90%
nei componenti strategici – dalla meccanica di precisione all’ingegneria di sistema –
riducendo la dipendenza da fornitori extra-Ue in un settore ad alta valenza strategica.
L’accordo Ain–Anima: la nuova alleanza dell’industria
Il memorandum d’intesa firmato tra Ain e Anima Confindustria,
la federazione delle aziende della meccanica, punta a costruire una
piattaforma stabile di collaborazione tra mondo nucleare e industria
manifatturiera italiana. L’obiettivo dichiarato è trasformare
la promessa di numeri su Pil e occupazione in un ecosistema industriale strutturato.
L’intesa prevede:
- Scambio di competenze tecniche e partecipazione congiunta a tavoli di standardizzazione.
- Programmi di formazione per ingegneri, tecnici e operatori specializzati.
- Workshop e studi su requisiti di sicurezza, certificazioni e qualità.
- Partecipazione coordinata ai progetti europei e agli IPCEI su Smr, Amr e fusione.
- Monitoraggio delle opportunità di export per componenti e servizi made in Italy.
Nel racconto di Ain e Anima, il nuovo nucleare diventa una sorta di
volano industriale capace di agganciare la trasformazione delle reti,
l’esplosione della domanda elettrica e le politiche europee sulla sicurezza energetica.
Ma è proprio su questi punti che si concentrano molte delle critiche.
Smr, Amr e fusione: le tecnologie su cui si punta
La scommessa italiana non riguarda grandi centrali tradizionali come quelle del passato,
ma soprattutto Small modular reactor (Smr),
Advanced modular reactor (Amr) e, in prospettiva,
reattori a fusione. L’idea è inserirli
nel mix energetico nazionale come fonte programmabile a basse emissioni
a supporto delle rinnovabili.
Sul piano europeo, la partita è aperta: la Commissione Ue ha avviato una
consultazione dedicata sugli Smr per definire una strategia comune,
con l’obiettivo di avere i primi impianti in esercizio nel prossimo decennio.
A livello globale, l’Agenzia internazionale dell’energia vede un ruolo
crescente del nucleare negli scenari verso la neutralità climatica,
con una capacità installata che potrebbe più che raddoppiare entro il 2050,
pur mantenendo una quota relativamente stabile nel mix elettrico mondiale
a causa della corsa molto più veloce di eolico e fotovoltaico.
Il problema, come ricordano molti analisti, è che Smr e Amr sono ancora
lontani da una piena maturità commerciale, e i tempi medi di realizzazione di
una nuova centrale nucleare restano spesso superiori ai dieci anni.
La domanda elettrica esplode: data center, IA e il +165%
Uno dei numeri più citati è la previsione di una
crescita della domanda elettrica del 165% entro il 2030,
trainata da digitalizzazione, veicoli elettrici e, soprattutto,
data center e intelligenza artificiale.
Studi internazionali stimano che il consumo elettrico globale dei data center
possa più che raddoppiare entro il 2030, arrivando a volumi paragonabili
a quelli di un grande Paese industrializzato.
In Europa e in Italia, gli operatori di rete si preparano a un salto di scala:
nel nostro Paese la capacità energetica dedicata ai data center potrebbe passare
da poche centinaia di MW a diversi GW nel giro di un decennio,
portando la loro quota di consumi a una fetta significativa della domanda elettrica nazionale.
È questo scenario che spinge Ain a dipingere il nuovo nucleare
come pilastro di sicurezza degli approvvigionamenti, in grado di garantire
potenza continua laddove eolico e fotovoltaico sono per definizione intermittenti.
Il quadro normativo: la legge delega e il ritorno dell’atomo
Sul piano politico, il passo decisivo è arrivato con il
disegno di legge delega in materia di energia nucleare sostenibile,
che disciplina l’intero ciclo di vita degli impianti:
sperimentazione, progettazione, autorizzazione, esercizio, gestione e smaltimento
delle scorie radioattive, fino al decommissioning.
L’obiettivo è inserire il nucleare “sostenibile” e la fusione nel
mix energetico italiano per rafforzare sicurezza e autonomia
e contribuire alla decarbonizzazione.
Il disegno di legge affida al Governo il compito di varare, entro dodici mesi,
uno o più decreti legislativi per definire programma, governance, regole autorizzative
e assetto regolatorio del nuovo nucleare. Una corsa contro il tempo che si intreccia
con gli investimenti record sulla rete elettrica e con gli obiettivi
del Piano nazionale integrato energia e clima.
Le argomentazioni di chi spinge per il nuovo nucleare
Ain e il fronte favorevole al ritorno dell’atomo insistono su alcuni punti chiave:
- Clima: lungo l’intero ciclo di vita, le emissioni di CO₂ per kWh prodotto da un impianto nucleare di nuova generazione sono tra le più basse, comparabili a quelle delle rinnovabili.
- Sicurezza degli approvvigionamenti: il nucleare offre produzione continua e programmabile, riducendo la dipendenza da gas e carbone importati.
- Competitività industriale: energia più stabile e meno esposta alla volatilità dei combustibili fossili viene presentata come leva per ridurre lo svantaggio competitivo delle imprese energivore italiane.
- Know-how nazionale: l’Italia conserva una base di competenze in università, centri di ricerca e aziende che il nuovo nucleare punta a valorizzare invece di disperdere.
In questa narrativa, il nucleare di nuova generazione non è “alternativa” alle rinnovabili,
ma complemento strutturale per rendere gestibile una rete in cui eolico e solare
diventano dominanti, mentre l’elettrificazione di consumi e processi moltiplica la domanda.
Costi, tempi, scorie: il fuoco di fila delle critiche
Sullo scenario ottimistico si abbatte però un fronte critico compatto.
Associazioni ambientaliste, parte della comunità scientifica e diversi think tank energetici
contestano tempi e costi del nuovo nucleare, oltre alla gestione di sicurezza e scorie.
Secondo numerose analisi, il costo medio livellato dell’energia
del nucleare di nuova costruzione resta oggi tra i più alti tra le tecnologie su larga scala,
con valori sensibilmente superiori a quelli di eolico e fotovoltaico,
anche quando si tenga conto dei sistemi di accumulo.
Gli esempi internazionali non aiutano: progetti come Flamanville o Hinkley Point C hanno accumulato
ritardi pluriennali e forti extra-costi. I rapporti indipendenti descrivono il
“rinascimento nucleare” come fragile in un contesto in cui le rinnovabili macinano record annuali
di nuova capacità installata.
C’è poi il nodo sempre aperto delle scorie radioattive:
l’Italia non ha ancora realizzato il Deposito nazionale per i rifiuti nucleari pregressi
(centrali dismesse, rifiuti medici e industriali), e le esperienze degli ultimi anni mostrano
quanto sia difficile individuare un sito condiviso con i territori. Aprire il capitolo di nuovi impianti
senza aver chiuso quello delle scorie accumulate viene considerato da molti una contraddizione politica.
Non sorprende, quindi, che la coalizione per le rinnovabili al 100%
e organizzazioni come Legambiente, WWF, Greenpeace e Kyoto Club parlino di scelta “antistorica” e
“pericolosa”, accusando il Governo di sottrarre risorse alla corsa delle rinnovabili
e di puntare su tecnologie costose e in larga parte ancora da dimostrare.
Opinione pubblica e consenso: il convitato di pietra
In Italia il nucleare non è solo un tema tecnico, ma un trauma politico.
I referendum del 1987, dopo Chernobyl, e del 2011, dopo Fukushima, hanno chiuso
per due volte la porta alle centrali nel nostro Paese. Oggi il Governo punta molto sulla
comunicazione scientifica e sulle campagne informative, con fondi dedicati
anche a iniziative per “spiegare” il nucleare ai cittadini.
È su questo terreno che Ain insiste sulla necessità di passare dalla paura alla conoscenza:
una formula che riassume la strategia di chi sostiene il nuovo nucleare come opzione quasi inevitabile
se si vuole decarbonizzare senza sacrificare competitività e sicurezza.
Il rischio, tuttavia, è che la partita venga giocata più sul piano della propaganda che su quello
del confronto trasparente su numeri, alternative e compromessi.
Cosa succede adesso: tra iter parlamentare e scelte industriali
I prossimi mesi saranno decisivi. In Parlamento il disegno di legge dovrà superare
un iter complesso, con audizioni, pareri e un confronto frontale tra fronti favorevoli e contrari.
Una volta approvata la delega, l’Esecutivo avrà un anno per scrivere i decreti attuativi che diranno,
in concreto, quante centrali, dove, con quali tecnologie e secondo quali criteri autorizzativi.
Sul fronte industriale, l’intesa Ain–Anima prova a muoversi d’anticipo:
costruire oggi la filiera significa posizionarsi per appalti e commesse che,
nei piani dei promotori, dovrebbero materializzarsi nella prossima decade.
Ma molto dipenderà anche da come evolveranno i costi delle rinnovabili, dell’accumulo
e della flessibilità di rete, che negli ultimi anni hanno fatto passi avanti velocissimi.
In sostanza, l’Italia si trova a un bivio energetico e industriale:
scegliere se e quanto puntare sull’atomo in un contesto in cui eolico, solare, accumuli
e gestione intelligente della domanda stanno già ridisegnando il sistema elettrico.
Il nuovo nucleare, così come viene presentato da Ain e dal Governo, promette posti di lavoro, Pil
e sicurezza. La domanda vera è se, quando i tempi di cantiere, i costi reali e la politica
dei territori presenteranno il conto, quelle promesse saranno ancora sostenibili.