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Nuovo attacco di Trump all’università: stavolta tocca a Duke

- di: Vittorio Massi
 
Nuovo attacco di Trump all’università: stavolta tocca a Duke
Sospesi 108 milioni di fondi. L’accusa? “Discriminazione razziale sistemica”. Ma il vero obiettivo è la libertà accademica.

Donald Trump ha colpito ancora. Dopo Harvard, Columbia e UCLA, ora è la Duke University a finire nel mirino della nuova guerra ideologica lanciata dalla Casa Bianca contro l’istruzione superiore. Con un colpo secco e chirurgico, l’amministrazione ha bloccato 108 milioni di dollari di fondi federali destinati alla facoltà di medicina dell’ateneo, accusata nientemeno che di “discriminazione razziale sistemica”. Un’accusa pesantissima, costruita su presunti favoritismi nei processi di ammissione e assunzione, e che nasconde una strategia molto più ampia: quella di ridurre al silenzio le università autonome, critiche e inclusive, trasformandole in avamposti del potere trumpiano.

L’accusa: razzismo al contrario

A rendere pubblica la decisione è stata una lettera firmata da Robert F. Kennedy Jr., attuale ministro della Salute, e Linda McMahon, titolare del dicastero dell’Istruzione. Nella missiva, indirizzata ai vertici di Duke, si esprime “profonda preoccupazione” per le “preferenze razziali” riscontrate nell’intero sistema Duke Health: ammissioni universitarie, politiche di assunzione, governance e perfino nella gestione dell’assistenza ai pazienti.

Nel documento – che fa riferimento al Titolo VI del Civil Rights Act – i due ministri affermano che Duke avrebbe favorito candidati appartenenti a minoranze etniche, violando così il divieto di discriminazione basata sulla razza nei programmi che ricevono fondi pubblici. Il governo ha chiesto all’ateneo di rivedere integralmente le proprie politiche e di istituire un “Comitato per il Merito e i Diritti Civili” sotto sorveglianza federale.

In apparenza, si tratta di un’azione per “ristabilire l’uguaglianza”. In realtà, è un attacco politico camuffato da moralismo istituzionale.

Una strategia repressiva: colpire gli atenei progressisti

Non è un caso isolato. Duke è solo l’ultima delle università d’élite a essere punita. A giugno, Harvard ha subito un congelamento di oltre 2 miliardi di dollari per non aver consegnato la lista degli impiegati coinvolti in politiche di diversity. Columbia University è nel mirino per le proteste studentesche pro-palestinesi. UCLA è sotto inchiesta per “programmi a rischio discriminazione inversa”.

Tutto rientra in una strategia dichiarata: il taglio sistematico dei fondi a ogni istituzione che non si allinei alla nuova ortodossia trumpiana, quella che rifiuta l’idea stessa di equità razziale e promuove un modello educativo autoritario, meritocratico in apparenza, ma escludente nei fatti.

L’obiettivo dell’amministrazione è “smantellare completamente la struttura DEI (Diversity, Equity, Inclusion) dalle università americane” per sostituirla con “modelli orientati al merito”, una parola usata come clava per reprimere ogni forma di rappresentanza delle minoranze.

Un approccio definito “tecnocratico e regressivo” dal costituzionalista di Harvard Noah Feldman.

I numeri: un colpo pesante alla ricerca

Duke è uno dei principali centri di ricerca biomedica degli Stati Uniti. Solo nel 2024 aveva ricevuto 194 milioni di dollari dal National Institutes of Health. Con il nuovo blocco e i tagli pregressi, il bilancio complessivo dell’ateneo rischia di essere decurtato di quasi 350 milioni di dollari, con effetti devastanti su laboratori, programmi di dottorato e borse di studio.

Il congelamento colpirà direttamente l’assistenza sanitaria fornita ai pazienti più vulnerabili nella North Carolina rurale, un aspetto completamente ignorato dall’azione governativa. La decapitazione di Duke Health non è solo un atto di censura contro l’autonomia accademica: è anche una negazione del diritto alla salute per migliaia di cittadini.

Vincent Price, presidente dell’università, ha parlato di “azione punitiva e ideologica”, annunciando ricorso legale. “Non piegheremo le nostre pratiche accademiche a logiche discriminatorie o a diktat politici. Difenderemo i nostri valori, i nostri studenti, i nostri pazienti”.

Il vero obiettivo: sottomettere il sapere

Chi conosce Trump sa bene che dietro il lessico tecnico delle “violazioni al Civil Rights Act” si nasconde un’operazione ben più cinica: piegare la cultura e la scienza al potere politico. L’università libera, aperta al pluralismo, è un nemico per chi cerca il controllo totale del discorso pubblico. E Duke è solo l’ennesimo trofeo.

Stephen Miller, ideologo trumpiano, ha dichiarato: “Le università devono tornare a essere luoghi di competenza, non santuari di ideologia woke”. Una dichiarazione che suona come un avvertimento: chi non si adegua, paga.

Secondo un’indagine recente, almeno 18 atenei americani stanno rivedendo le proprie politiche di inclusione per evitare sanzioni. Si respira un clima da caccia alle streghe: si rinuncia al pluralismo per sopravvivere.

L’America che chiude le menti

L’operazione Trump non è solo repressiva. È anche profondamente antimeritocratica: si colpiscono proprio le università che hanno prodotto eccellenza globale grazie a politiche inclusive. Si demonizza la diversità per rafforzare una narrazione identitaria, in cui il sapere viene filtrato e sterilizzato.

E c’è un effetto collaterale gravissimo: la fuga dei talenti. Solo nell’ultimo semestre, oltre 2.000 ricercatori americani under 40 hanno avviato pratiche per lavorare all’estero, soprattutto in Canada, Regno Unito e Germania.

La libertà accademica americana è sotto attacco. E ogni nuovo taglio, ogni finanziamento bloccato, è un colpo sferrato al cuore della democrazia. Stavolta tocca a Duke. Domani, chi sarà il prossimo?

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