Migliaia in strada in Israele per fermare l’offensiva. Il governo ignora Hamas, continua la lenta tragedia a Gaza.
(Foto: il primo ministro israeliano enjamin Netanyahu).
Tel Aviv sotto pressione, nulla cambia sul fronte militare
Migliaia di cittadini israeliani, tra cui numerose famiglie di ostaggi, hanno invaso le strade di Tel Aviv e hanno paralizzato le autostrade principali in una giornata di protesta definita “disruption day”. Il loro obiettivo? Spingere il premier Benjamin Netanyahu ad accettare una tregua di 60 giorni che includerebbe lo scambio di prigionieri e l’aumento degli aiuti umanitari.
Una massa umana ha anche sfidato il traffico, con pneumatici incendiati e slogan davanti alle residenze dei ministri, in particolare contro gli ultraconservatori Smotrich e Ben-Gvir. In contemporanea, una grande manifestazione si è svolta davanti all’Ufficio del Primo Ministro a Gerusalemme: il gabinetto di sicurezza ha ignorato completamente la proposta di tregua, non inserendola nell’agenda né sottoponendola a voto.
Tragico raid, morti e accuse
La protesta interna coincide con una nuova escalation sul terreno: un attacco israeliano ha colpito due volte l’ospedale Nasser a Khan Younis, provocando almeno 20 vittime, tra cui cinque giornalisti internazionali e operatori sanitari. L’esercito israeliano ha definito l’episodio un “tragico errore”, affermando che il bersaglio era una telecamera di sorveglianza di Hamas — senza tuttavia fornire prove.
Secondo le autorità sanitarie della Striscia, il bilancio totale delle vittime dall’inizio del conflitto ha superato i 62.800 morti (dato aggiornato al 26 agosto 2025). Le condizioni umanitarie continuano a peggiorare, con medici che evidenziano come evacuare gli ospedali equivalga a una “condanna a morte” per i pazienti più vulnerabili.
Preparativi per l’offensiva: Gaza City nel mirino
Mentre la tregua resta nel limbo, il governo israeliano accelera l’operazione su Gaza City. Le autorità militari intendono iniziare un’offensiva terrestre a metà settembre, dopo la chiamata di circa 60.000 riservisti. Nel frattempo, un milione di civili rischiano di essere evacuati.
Il quadro internazionale si complica: mediatori come Qatar ed Egitto attendono la risposta israeliana alla proposta di tregua (accettata da Hamas), mentre fonti governative affermano che la palla sia ora in mano a Israele, che sembra intenzionato a temporeggiare. Nel frattempo, Paesi come Francia, Canada e Regno Unito stanno valutando il riconoscimento dello Stato palestinese; la Germania ha sospeso la vendita di armi a Israele.
Dissenso in armi: ex piloti contro la guerra
Non solo la piazza civile protesta: nelle scorse settimane, centinaia di ex ufficiali dell’aeronautica si sono schierati contro la campagna a Gaza. Guidati dall’ex capo di stato maggiore Dan Halutz, hanno criticato la strategia del governo e ammonito sui rischi morali e letali dell’offensiva su Gaza City.
Contrasti irrisolti tra piazza e potere
L’energia delle proteste israeliane — civili, familiari, ex militari — rivela una società ingolfata dall’usura della guerra, dalla paura per gli ostaggi e dalla percezione di un’agenda governativa inscalfibile. Di fronte ai cortei, Netanyahu sembra restare impassibile, preferendo la leva militare al compromesso politico. Il contrasto tra piazza e potere non è mai stato così netto.
La posta in gioco è altissima: Gaza è allo stremo, la diplomazia tentenna e la logica della guerra sembra sopravvivere alla pressione popolare. Se il governo non mollerà, il rischio è che una vera soluzione umanitaria venga rimessa a domani.