La musica del momento fa schifo. Ma anche no

- di: Barbara Leone
 
Se la bellezza salverà il mondo allora siamo rovinati. Perché in giro non ne vediamo granché. E ne ascoltiamo ancor meno. Ma non da oggi, e nemmeno da ieri. Non c’entra il covid, non c’entrano i social e manco, non in toto, la tv. Sono almeno vent’anni che piovono note ad capocchiam, quando di note si tratta. Si salvano, e ci salvano, i cari vecchi cantautori. Vecchi nel vero senso della parola, anche se anno dopo anno perdiamo pezzi come nel più crudele dei domino. Ne son rimasti pochi, e quelli che sono rimasti difficilmente partoriscono i capolavori di un tempo. Forse proprio perché questo di tempo ci ha anestetizzati un po’ tutti. Insomma i grandi se ne sono andati ad allietare gli angeli nell’aldilà. Mentre noi, nell’aldiqua, dobbiamo accontentarci degli ultimi guizzi di una genialità confusa fino a che, prima o poi, calerà completamente il sipario. E allora sarà il deserto dei tartari. A pescar nel mucchio, oggi, si fa una gran fatica a dire musica. Parliamo di quella cosiddetta leggera, che poi leggera non è. O almeno non lo è stata fino a qualche decennio fa. Ma da un momento in poi, più o meno a partire dal nuovo millennio, qualcosa si è rotto.

La musica del momento fa schifo. Ma anche no

Pufff… fine della magia. Se prima le canzoni ci nutrivano l’anima adesso (ma non da adesso) le canzoni sono un sottofondo quasi inutile. E a volte pure fastidioso. E però pare che certi criticoni dei giornali d'alto lignaggio se ne accorgono solo ora. Uno, molto famoso e onnipresente quando c’è da commentare i vari festival di Sanremo et similia, pochi giorni fa se n’è uscito così: la musica del momento fa veramente schifo. Per poi rincarare la dose rivolgendosi direttamente agli artisti: cari cantanti, potreste impegnarvi un po’? Mizzica, pensiamo noi, che da quel dì ce ne eravamo resi conto. Ma non come l’ha messa lui. Proprio no. Perché di musica buona e interessante ce n’è in giro. Solo che tocca cercarsela col lanternino.

E sapete perché? Perché se poco poco si promuove un artista che non rientra nel solito giro le radio non lo passano. E se lo fanno è in bassa rotazione, che vuol dire un passaggio ogni morte di papa. E questa cosa la sanno pure i sassi, basta bazzicare un minimo (ma proprio un minimo) nel settore. Così come è lapalissiano che molti di quelli che calcano i grandi palchi non sanno nemmeno la differenza tra una semibreve ed una croma. Semplicemente non conoscono la musica. Che ci può anche stare. Perché Paul McCartney all’inizio non conosceva un rigo di musica. Così come tutti i Beatles, che andavano a orecchio per un innato, e benedetto dal Cielo, talento. Ce ne sono di casi così, per carità. Poi però uno studia, e di certo non si sente arrivato per un disco di platino. Che un tempo era un punto di partenza, ora di arrivo. Ci lascia perplessi, dunque, questo cascar dal pero. Soprattutto perché sono i critici musicali stessi, quelli che contano, ad esser parte del sistema. Lui poi nella fattispecie non fa manco i nomi e cognomi di questi cantanti che fanno musica da schifo. Come a dire lancio il sasso e tiro indietro la mano. Ma non funziona così. Se fai il critico, porca paletta, critica. Ovviamente argomentando la tesi. Peccato che sempre da una ventina d’anni non troviamo la stroncatura di un disco manco a pagarla oro. Seria s’intende, tecnica e ragionata.

E’ tutto un miciomiciomiaomiao, in perfetto pendant con le canzoni che un tempo sarebbero finite in fondo un cassetto. Canzoni che spesso sono cotte e magnate, messe su in un battibaleno. Soprattutto quando si tratta di rap, trap e giravolte simili che ora vanno per la maggiore. E sono proprio loro, i rapper, a dirlo: dietro questa canzone c’è stato un sacco di lavoro, siamo stati tre ore in studio di registrazione. Tre oreeeeee??? I grandi cantautori ci mettevano anni a scrivere un album. Questi ne sformano uno al mese. Ovvio, se ci metti tre ore ne puoi fare uscire anche dieci al mese. Anche perché poi sono più o meno tutti uguali. E però no, non è tutto e solo così. Al di fuori del mainstream, parolone sdoganato in ben altri ambiti ma che nella musica ha il suo perché, c’è tutto un mondo da ascoltare. La verità è che ci sono molti artisti giovani, o meno giovani, di cui non si sa tanto ma la responsabilità, caro il mio lei, è degli addetti ai lavori. Non del pubblico beota e nemmeno di quei miracolati che spadroneggiano nelle radio con le loro canzoni fuffa. Sono gli addetti ai lavori che decidono, comunicano e influenzano il mercato discografico. Se in mezzo all’infinità di monnezza che viene mandata per mail tutti i giorni si mettessero ad ascoltare le produzioni indipendenti (come forse facevano una volta, e felicemente) di bellezza ne ascolterebbero eccome. Ma costa fatica, e troppi nemici.
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