Dal memo al Mef del 2022 ai colloqui con Nagel nell’estate 2024, fino alla scalata da 16 miliardi e al verdetto Consob sul presunto patto occulto.
Dietro la scalata di Monte dei Paschi di Siena a Mediobanca non c’è un lampo improvviso, ma un percorso che inizia lontano dai riflettori,
in una sala del Mef, il 16 dicembre 2022. Lì il ceo di Mps Luigi Lovaglio presenta un documento dal titolo
“Aggiornamento su Mps. Situazione e prospettive”, in cui vengono tracciate tre possibili vie per l’uscita ordinata del Tesoro dal capitale della banca senese.
Quel testo, oggi finito al centro di un documento della Consob datato 15 settembre 2025, è diventato la chiave per capire come si sia arrivati
all’operazione che ha ridisegnato la mappa della finanza italiana e alimentato un’indagine della Procura di Milano su presunti patti occulti tra gli azionisti forti di Mps e Mediobanca.
Le tre opzioni sul tavolo del Tesoro
Nel memo del 2022, ricostruito nei documenti della vigilanza Consob e ripreso da varie testate, le strade possibili per Mps sono tre:
stand alone, merger of equals e trasformazione con Mediobanca.
La prima ipotesi, quella stand alone, prevedeva un’uscita graduale dello Stato tramite collocamenti di quote sul mercato,
sfruttando il ritorno di Mps alla redditività e il possibile apprezzamento del titolo in Borsa.
La seconda, il “merger of equals”, puntava invece a un’integrazione tra banche commerciali simili, con due candidati naturali: Banco Bpm e Bper.
La terza via, definita di “trasformazione”, ipotizzava una integrazione con Mediobanca, con una forte specializzazione nei servizi di
corporate e investment banking, private banking e gestione del risparmio, oltre alla rete retail.
È questa terza opzione, rimasta per mesi sullo sfondo, a diventare col tempo il vettore di una delle più controverse operazioni di risiko bancario italiano.
La via stand alone: privatizzazione a tappe forzate
La prima fase della strategia ha seguito il copione della via stand alone. Dopo il faticoso risanamento e l’aumento di capitale del 2022,
Mps torna all’utile e il Tesoro inizia a ridurre la propria partecipazione. Tra il 2023 e il 2024 il governo colloca sul mercato diverse tranche,
fino a scendere sotto il 20 per cento a fine 2024, in linea con gli impegni presi con Bruxelles al momento del salvataggio del 2017.
In uno di questi collocamenti, nel novembre 2024, Banco Bpm approfitta dell’operazione per entrare nel capitale con una quota intorno al 5 per cento,
affiancata da altri investitori istituzionali, Una mossa che molti all’epoca leggono come il primo tassello di una possibile
fusione tra Mps e Banco Bpm, scenario più volte evocato negli ambienti di governo come architrave di un “terzo polo bancario”
capace di affiancarsi a Intesa Sanpaolo e UniCredit.
In parallelo, Mps annuncia piani di utili robusti e una distribuzione di dividendi significativa a partire dall’esercizio 2024, rafforzando l’idea di una banca
tornata a pieno titolo sul mercato, non più solo “malata da salvare” ma possibile predatore e perno di aggregazioni.
Merger of equals: Banco Bpm e Bper tra corteggiamenti e frenate
La seconda opzione individuata nel documento del 2022 è il merger of equals, la fusione tra pari con un’altra grande banca commerciale.
Nel mirino ci sono Banco Bpm e Bper, i due istituti più frequentemente al centro dei rumors di consolidamento.
Banco Bpm, reduce a sua volta da corteggiamenti e tentativi di aggregazione, viene a lungo considerata la candidata naturale per un matrimonio con Siena:
geografie complementari, basi clienti diverse ma integrabili, possibili sinergie sui costi e sui ricavi. Ma i continui incastri
tra interessi politici, presenza di altri grandi gruppi (su tutti Crédit Agricole) e la complessità di una fusione tra due banche di grandi dimensioni
finiscono per rallentare il dossier.
Anche Bper, sostenuta dall’azionista Unipol, resta stabilmente sullo sfondo del risiko: l’idea di una
piattaforma bancaria a trazione Unipol, eventualmente incrociata con Mps, viene evocata più volte dagli analisti, ma resta vincolata ai tempi
dei piani industriali e alle priorità di rafforzamento interno del gruppo emiliano.
In questo scenario di fusioni possibili ma mai concluse, l’idea di una trasformazione più radicale, attraverso Mediobanca, torna prepotentemente in primo piano.
L’opzione trasformazione: l’asse con Mediobanca
Nel documento del 2022, la terza opzione è la più ambiziosa: una integrazione con Mediobanca, non necessariamente come fusione tradizionale,
ma come costruzione di un gruppo con forte specializzazione nel corporate e investment banking, nel private banking e nelle
fabbriche prodotto, agganciando a questo core il retail di Mps.
Secondo le ricostruzioni contenute nel documento Consob del settembre 2025, e rilanciate dalla stampa, questa opzione non resta solo sulla carta:
tra luglio e agosto 2024 Lovaglio presenta più volte l’idea di una integrazione senza fusione direttamente
all’allora amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel.
È un passaggio cruciale, perché mostra come il file Mps–Mediobanca fosse già aperto e discusso tra i vertici ben prima del lancio dell’offerta pubblica
su Piazzetta Cuccia nel 2025. Proprio questo elemento viene sottolineato nelle carte della Consob per sostenere che l’idea strategica dell’operazione non nasce da un presunto patto occulto,
ma affonda le radici in un percorso di medio periodo.
Dal dialogo riservato alla scalata da 16 miliardi
Il salto di qualità arriva a inizio 2025, quando Mps annuncia un’offerta pubblica di acquisto e scambio da circa
13,3 miliardi di euro su Mediobanca, poi destinata a trasformarsi in un’operazione da circa 16 miliardi,
la più grande del ciclo di consolidamento bancario in corso.
Dopo mesi di tensioni, pareri contrastanti degli advisor e resistenze interne a Piazzetta Cuccia, l’offerta raggiunge la soglia di successo e Mps conquista
una quota di controllo superiore al 60 per cento, destinata poi a salire ulteriormente con le adesioni residue.
L’operazione ridisegna in profondità gli equilibri della finanza italiana: Mps non è più solo la banca più antica del mondo da salvare, ma il centro di un
nuovo polo integrato banca–investment bank, mentre Mediobanca cambia pelle, perdendo l’autonomia che l’aveva caratterizzata per decenni.
Il verdetto Consob: nessun patto occulto, ma l’inchiesta continua
La stessa scalata, però, diventa il cuore dell’indagine della Procura di Milano, che ipotizza un “concerto” non dichiarato
tra i grandi soci Delfin (la holding riconducibile alla galassia Del Vecchio), il gruppo Caltagirone e Mps, con l’obiettivo di
conquistare Mediobanca e rafforzare l’influenza su Generali, di cui Piazzetta Cuccia è azionista di peso.
È qui che entra in scena il documento della divisione vigilanza emittenti Consob, datato 15 settembre 2025 e reso noto a inizio dicembre.
L’Autorità di Borsa, dopo aver ricostruito la sequenza di riunioni, contatti e movimenti azionari, afferma che “non sussiste il patto occulto” tra i soci Delfin e Caltagirone
e che non emergono elementi sufficienti per configurare un’azione di concerto con Mps e con il Tesoro tale da far scattare un obbligo di Opa non adempiuto.
In sostanza, per Consob le condotte dei diversi soggetti appaiono “allineate ma non coordinate in modo provabile”. L’Autorità precisa comunque che
l’esame resta aperto e che le valutazioni della magistratura milanese seguono un percorso autonomo, fondato su indagini penali che coinvolgono
perquisizioni e sequestri di telefoni e dispositivi.
Il nodo giudiziario si intreccia con la governance. A fine novembre l’indagine penale raggiunge anche il vertice operativo di Siena:
il ceo Luigi Lovaglio viene iscritto nel registro degli indagati come presunto concorrente esterno rispetto ai reati ipotizzati, insieme ai grandi soci Delfin e Caltagirone.
Il consiglio di amministrazione di Mps, riunitosi nei giorni successivi, reagisce con una mossa compatta. In un comunicato ribadisce, in sostanza, che il vertice
mantiene tutti i requisiti di onorabilità e professionalità richiesti dalla normativa, e che l’operazione Mediobanca è stata condotta nel rispetto del quadro regolamentare.
Nel frattempo, il titolo Mps vive una fase di forte volatilità: dopo un 2024 da protagonista assoluto in Borsa, con rialzi a tre cifre,
le notizie sulle indagini e le carte Consob innescano prese di profitto e tre sessioni consecutive di cali.
Banco Bpm e Bper, gli altri protagonisti del risiko
Anche se l’asse Mps–Mediobanca catalizza l’attenzione, sullo sfondo restano le altre due pedine indicate nel documento originario: Banco Bpm e Bper.
Banco Bpm, dopo il suo ingresso nel capitale di Mps nel 2024, continua a essere considerata la banca più “sensibile” a eventuali
operazioni di aggregazione, anche alla luce delle indiscrezioni sulle preferenze del governo in tema di terzo polo. Tuttavia, l’affermarsi del progetto Mps–Mediobanca
e l’attenzione crescente degli investitori internazionali sul titolo rendono oggi meno lineare la costruzione di un asse Bpm–Siena.
Bper, dal canto suo, porta avanti un proprio percorso di crescita nazionale, concentrandosi sul rafforzamento della rete e sulla razionalizzazione dei costi.
Gli analisti continuano a citarla tra i protagonisti possibili del prossimo round di consolidamento, ma i tempi delle aggregazioni restano legati ai vincoli regolamentari
e all’assorbimento delle operazioni già in corso.
Che cosa resta delle tre opzioni iniziali
A distanza di tre anni da quel documento del 16 dicembre 2022, le tre opzioni disegnate sul tavolo del Mef si sono, di fatto,
intrecciate in un unico percorso:
- Stand alone: è servita a riportare Mps al mercato, a valorizzare il titolo e a permettere al Tesoro di scendere sotto la soglia vincolante del 20 per cento.
- Merger of equals: è rimasta sullo sfondo come scenario di pressione competitiva, con Banco Bpm e Bper costantemente citate come possibili partner, ma senza concretizzarsi.
- Trasformazione con Mediobanca: è diventata la direttrice effettiva, evolvendo dall’idea di integrazione senza fusione ai colloqui riservati con Nagel e infine alla scalata con Opa e scambio azionario.
Il risultato è un nuovo gruppo Mps–Mediobanca chiamato ora a dimostrare sul campo la sostenibilità industriale e patrimoniale del disegno:
generare sinergie senza bruciare capitale, integrare culture molto diverse e gestire al tempo stesso il contesto regolamentare e giudiziario che circonda l’operazione.
I prossimi snodi: vigilanza, giudici e mercato
I prossimi mesi saranno scanditi da tre piani intrecciati:
- Regolamentare: le verifiche della Consob proseguono, mentre la Banca d’Italia e la Bce monitorano la stabilità del nuovo perimetro e i profili di concentrazione settoriale.
- Giudiziario: la Procura di Milano dovrà decidere se chiedere il rinvio a giudizio per gli indagati e su quali capi di imputazione, con un procedimento che, in ogni caso, si annuncia lungo.
- Mercato: investitori istituzionali e fondi valuteranno la capacità del nuovo polo di mantenere la promessa di redditività elevata e di distribuzione generosa di dividendi, oltre all’esecuzione tecnica dell’integrazione.
Nel frattempo, l’Italia si ritrova con un landscape bancario profondamente cambiato: meno attori, più grandi e più intrecciati tra loro.
E quelle tre righe di un documento riservato del 2022 – stand alone, merger of equals, trasformazione – sono diventate la sceneggiatura, tutt’altro che chiusa,
di uno dei capitoli più delicati del risiko bancario italiano.