Il corpo, spazio progettuale in continuo mutamento

- di: Stefania Assogna
 

Elisabetta I d’Inghilterra compariva a corte, in mezzo alle sue dame confinate al bianco e nero, vestita di abiti rossi, viola o oro, rutilanti di perle e gioielli; un inventario del suo guardaroba enumera 100 abiti lunghi, 102 vestiti francesi, 67 negligees, 99 vestaglie, 127 mantelle, 125 sottovesti, 85 camicie, 56 gonne, 126 tuniche, 18 mantelli e 136 corsetti […]» (recensione Elizabeth the Golden Age, in “Velvet”; ed.” la Repubblica”; 26 ottobre 2007).

La moda da sempre riveste lo spazio del corpo dandogli una forma, come l’architettura riveste i luoghi operando nello stesso modo. Ogni epoca ha avuto un “suo corpo”e un “carattere stilistico”, imposto da chi deteneva il potere e da emulare, sempre che ciò fosse possibile. Il mondo atavicamente offre tuttavia anche spunti interessanti, e meravigliosi su come le mode, intese come maniere, abbiano forgiato le identità d’intere etnie, celebrando l’orgoglio del proprio gruppo di appartenenza, sottolineando come “le razze”, nella loro accezione più nobile e alta, nella varietà, siano un patrimonio dell’umanità. Dalle popolazioni tribali africane a quelle colombiane, dal Giappone all’India, ogni luogo ha la sua identità, nell’ornamento e nel vestire, che talvolta, come nel caso delle mode tribali, ricorrendo ai tatuaggi e all’applicazione di particolari monili permanenti, modificano addirittura i tratti somatici. Nel mondo occidentale, che ci riguarda da vicino, siamo in continua trasformazione, adeguandoci alla velocità con cui il progresso cambia le nostre vite e le nostre abitudini. Agli inizi del Novecento il corpo è a clessidra, che rendeva fondamentale il busto; negli anni ’20 si passa a una figura più snella, coerente con i principi di una donna emancipata, liberata da busto.Negli anni ‘30, influenzate dalle ideologie legate alla super razza, le donne si scoprono atlete e sportive, sottolinendo clavicole ed muscoli. Alla fine della II Guerra Mondiale per dimenticare le carestie, di riflesso i seni e i fianchi si riempiono di nuovo per poi tornare al modello sottile della fine degli anni ‘50 allorché, la Maison Givenchy, crea la straordinaria Holly-Audrey Hepburn di Colazione da Tiffany. Negli anni ’60 la figura femminile oltre ad essere minuta è androgina, identificandosi nella modella inglese Twiggy, la più richiesta di quegli anni. Negli anni ‘70 spiccano i tratti somatici di altre razze, le modelle del momento sono Veruschka e la somala Iman. Gli anni ‘80 impongono una linea androgina a Y; imperversa la moda del body building; i capi di abbigliamento vengono equipaggiati di grandi spalline imbottite; le persone cercano di contrastare i segni dell’invecchiamento oltre che con la palestra, con la chirurgia plastica, ancora ai suoi albori, con risultati standardizzati e grotteschi, per poi affermarsi negli anni ’90, imponendo il modello delle “finte maggiorate”: labbra e seni molto evidenti su un fisico magrissimo e molto palestrato. A metà degli anni ’90, Vogue impone la modella Carla Bruni e con lei il corpo ritorna a proporzioni naturali. Nel culmine del 2000 la moda arruola figure magrissime evocative delle anoressiche, spettrali perse in una sorta di evanescenza quasi bizantina. Oggi il modello che s’impone è quello di un corpo naturale e sano; sono banditi gli eccessi, per cui anoressia e obesità sono certificate malattie portatrici di danni alla salute. Il peso forma ideale, tonico, mantenuto con alimentazione e attività fisica adeguate, non solo è lo stereotipo di bellezza attuale ma un mezzo di prevenzione e mantenimento di salute. Si riscopre il valore dell’ecologia, le tecniche olistiche, e le attività fisiche prevedono sempre più un mix tra danza yoga e gli esercizi tipici di palestre. Al botox degli anni ‘90 si preferiscono trattamenti meno invasivi; spesso i capelli sono lasciati ingrigire fino a diventare bianchi, diventando il nuovo trend; si consumano prodotti bio, il trucco diventa più leggero, privilegiando prodotti con ingredienti naturali. 

Nel merito del corpo delle sue mutazioni estetiche incontriamo Adriana Soares, pittrice, scrittrice, fotografa e modella di alta moda, che per la sua esperienza e sensibilità oltre che bellezza è una voce davvero autorevole parlando di estetica contemporanea. Adriana è nata a Rio de Janeiro, vive a Roma dall’età di 11 anni dove è cresciuta ed ha concluso gli  studi. Parla cinque lingue. Ha sfilato per i più grandi stilisti di moda. Questa esperienza professionale l’ha portata a viaggiare, conoscendo anche luoghi molto disagiati. Abbandonato il mondo della moda, ha intrapreso il percorso di artista eclettica, cimentandosi nelle diverse arti della fotografia, della pittura, della poesia e della scrittura. Vanta la produzione di un imponente lavoro fotografico di moda e d’arte fino a creare l’espressione d’innovative opere foto-pittoriche, molto emozionanti. è permanentemente esposta presso musei con opere che hanno girato il mondo in svariate mostre di successo, mentre, dal 2017 al 2018 pubblica i suoi racconti e poesie: Attese e RitorniLo sguardo che ascolta e diceAguaLa mia vita in pensieri sparsi e poco ordinati.

Adriana, qual è la tua idea di moda?
A volte l’apparenza diventa sostanza perché noi siamo una fusione di tante cose: idee, attitudine, carattere e lo riversiamo sull’interlocutore, lasciando un’impressione positiva o meno. Ogni epoca porta con sé il suo carattere, è come una persona complicata. È bellissimo seguire l’evoluzione del tempo e delle persone. Io ragiono da pittrice, da scrittrice, io “racconto” e la moda per me deve raccontare vite ed esperienze reali, viaggi, per sognare e a far sognare.

 Qual è la tua idea di bellezza contemporanea?
Stendhal, Fitzgerald, Rilke, ciascuno nel proprio modo e stile, svela che c’è un nesso tra bellezza e felicità, ma anche con il terrore, dove si potrebbero sgretolare le nostre sicurezze e quindi l’idea di bello; una polarità che fa parte dell’esperienza umana del bello. Nelle mie opere pittoriche tutto questo si percepisce, io cerco di trovare il bello in ciò che dona anche angoscia, con i miei racconti inseriti nella tela metallica e fredda. La verità racchiusa in tutto questo è l’idea del”mio bello”: qualcosa che si manifesta andando oltre l’involucro.

 Com’è cambiato il mondo delle sfilate rispetto ai tuoi anni?
Negli anni ‘80 e ‘90, le modelle erano delle star; penso alle top: da Naomi Campbell a Carla Bruni, Christy Turlington, Cindy Crawford, Linda Evangelista e altre. Un periodo sfarzoso dove il bello era portato all’estremo e le donne erano perfette, con le loro forme toniche, quasi rotonde. Sono arrivata nel 2000, in un periodo di transizione, dove le modelle iniziavano a perdere corpo, carattere e anima. Tutte simili, tutte senza forma, quasi senza volto. Apparenza fredda e materiale, incarnata dall’abito per esaltarlo. Questo è lo specchio del nostro tempo:siamo tutti esseri senza volto e ciò che ci dona carattere è il nostro “involucro”. Fortuna che è rimasta qualche sognatrice come me con la capacità di guardare oltre lo specchio freddo! 

Hai formato molte ragazze nel portamento, nel trucco, nel vestire, anche senza avere specifiche ambizioni di diventare attrici o indossatrici; perché tante giovani hanno bisogno di questo tipo di aiuto? La classe si può insegnare?
Viviamo in tempi difficili di ricerca costante di equilibrio e rafforzamento dell’autostima, ingredienti essenziali del successo personale, senza i quali non si mostrerà mai il meglio di sé in alcun esame o colloquio di lavoro. Molti giovani, quelli più fortunati, possono contare sulla famiglia, altri cercano altrove. Aiutando a conoscere e riconoscere il proprio corpo, si può indirizzare una persona verso lo stile più idoneo nel vestire, nel make-up più adatto, e tutto ciò che possa concorrere a creare un proprio codice di eleganza personale, che possa rendere il più possibile adeguati e sicuri di se stessi. La classe invece non può essere insegnata, né acquistata; è l’alchimia dell’eleganza innata mista a carisma: un dono.

Nei tuoi quadri e nelle tue fotografie, mi colpiscono come il corpo, il viso, ogni fisicità sembra dissolversi e mimetizzarsi con le sensazioni esaltate da immagini che si sovrappongono avvolgendoli come in un sogno. Rappresentano le tue evoluzioni o rivoluzioni?
Mi evolvo continuamente, anche rivoluzionando il mio passato. Fortunatamente, sono capace di cogliere nell’osservazione e nel mio vissuto, attimi e cose che mi portano al cambiamento ma restando sempre fedele alla mia essenza, diventando “diversamente me stessa”. 

L’equilibrio interiore, secondo te, è il punto di partenza o la speranza di un arrivo?
Se fossi stata equilibrata o in pace sarei rimasta immobile e non avrei scoperto la vera Adriana, anche con i suoi lati più oscuri. Grazie alla mia inquietudine e quell’oscurità, la mia vera essenza è stata rivelata. Spesso si ha timore degli aspetti che non conosciamo per tanti motivi: condizionamenti vari, convenzione sociale, morale, invece la nostra verità va rispettata e quell’essenza io la racconto tramite le mie opere e ciò che scrivo. Nei miei quadri inserisco volti apparentemente inquieti fusi ad angoli di città o della natura. E’ un Dna dell’anima, non solo il mio, ma soprattutto di chi ne usufruisce. Queste immagini a volte trattengono, altre volte rilasciano emozioni. Non arriverò mai, quando sarò morta mi fermerò, forse!

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