Addio a Gianni Minà, gentleman d’un giornalismo che non esiste più
- di: Barbara Leone
Ha fatto la storia per l’incontro con Fidel Castro ed era amico di Maradona. Curioso come pochi, garbato come un uomo d’altri tempi, empatico ma all’occorrenza pungente, intellettuale ma mai tracotante. Con Gianni Minà, scomparso ieri a Roma all’età di 84 anni, se ne va un altro pezzo del nostro Paese migliore. Quello fatto da professionisti dell’informazione che veramente consumavano la suola delle scarpe alla ricerca di notizie. E lo facevano con passione autentica per questo mestiere che, vivaddio, non era considerato trampolino di lancio per ben altri voli.
Addio a Gianni Minà, gentleman d’un giornalismo che non esiste più
Giornalisti come Minà, cronisti di razza che mai come oggi mancano all’appello. E mancano in maniera irreversibile, visto che oramai si contano sulla punta di mezza mano. “Io vuliss ave’ l’agenda ‘e Minà”, scherzava in un memorabile sketch un altro grandissimo, e mai dimenticato, qual era Massimo Troisi. Che per agenda intendeva proprio quella di una volta, coi numeri di telefono scritti a mano ove alla lettera F trovavi il numero di Fidel, alla C Cassius Clay, alla M Maradona, alla G Garcia Marquez ed alla T… ovviamente Troisi. Li ha intervistati tutti lui i più grandi. I miti del Novecento sono passati tutti dal suo “Blitz”. E ci andavano in “amicizia” perché si fidavano di lui, facendo risparmiare e non poco alla produzione gravosi ingaggi. Nato a Torino nel 1938, Minà aveva iniziato la sua carriera come giornalista sportivo di Tuttosport, di cui fu poi direttore dal 1996 al 1998.
Nel 1960 il debutto in Rai, prima in veste di collaboratore per i servizi sportivi sui Giochi Olimpici di Roma e poi nella redazione di “Sprint”, rotocalco sportivo diretto da Maurizio Barendson. E ci entrò senza nessuna spinta politica, che anche all’epoca era all’ordine del giorno. E forse proprio questo marchio di non essere in quota di nessuno, l’ha scontato con l’oblio degli ultimi anni. E dire che i suoi programmi, ricchi di inchieste e documentari, sono stati tutti memorabili: da “Tv7” a “Dribbling”, passando per “Odeon. Tutto quanto fa spettacolo”, “Gulliver” sino a “L’altra domenica” realizzato con Renzo Arbore e lo stesso Barendson. Vincitore del Premio Saint Vincent come miglior giornalista televisivo dell'anno nel 1981, dopo aver collaborato con Giovanni Minoli a “Mixer” debutta come conduttore di “Blitz”, programma di Rai 2 di cui è anche autore. Ed è qui che il suo salotto ospita personaggi come Eduardo De Filippo, Federico Fellini, Jane Fonda, Enzo Ferrari, Gabriel Garcia Marquez, Sergio Leone, Robert De Niro, Martin Scorsese, Muhammad Ali, Maradona e finanche il Dalai Lama. Fino a Fidel Castro. Un’intervista storica, che durò oltre sedici ore e che venne poi tramutata in un libro reportage intitolato “Fidel racconta il Che”. Maestri come lui non ne nascono più. Facciamocene una ragione ed onoriamo, nel nostro piccolo, la sua grandezza facendo nostro uno dei suoi più preziosi insegnamenti, che peraltro dovrebbe rappresentare una vera e propria pietra miliare per il nostro mestiere: “Non puoi scrivere se non conosci fino in fondo quello che stai raccontando”.