Meloni costretta a convivere con il ''problema Salvini''
- di: Redazione
Matteo Salvini comincia ad essere un problema serio per Giorgia Meloni.
Non in termini di consenso e voti (il distacco tra Fratelli d'Italia, in fase pressoché stabile, e la Lega, in caduta libera, è enorme), ma di immagine di un governo che, non appena insediato, aveva orgogliosamente alzato il vessillo della coesione, in contrapposizione ai tanti distinguo in casa altrui.
Le continue fughe in avanti del vicepremier, che ormai quotidianamente spazia tra argomenti lontanissimi tra di loro, ma sui quali vuole comunque dire la sua, stanno creando imbarazzo nel presidente del Consiglio, costretta in qualche modo, anche quando proprio non ne avrebbe voglia, a ribadire la linea del governo, le sue priorità, i suoi risultati, la sua posizione sullo scacchiere internazionale, turbolento come mai negli ultimi mesi.
Meloni costretta a convivere con il ''problema Salvini''
Ma se tutto poi si riduce a dovere, per la centesima volta, ribadire la posizione dell'Italia per quel che accade in Ucraina e per cosa lo abbia determinato, si capisce bene quanta fatica debba fare Giorgia Meloni per mordersi la lingua e non dire quel che veramente pensa. Che noi non sappiamo, anche se abbiamo la quasi certezza che le parole non sgorgano dalla bocca del primo ministro solo perché rischierebbero di mandare in tilt il governo, inteso come espressione di una coalizione nella quale la Lega di Salvini è ormai quasi isolata, essenzialmente per sua scelta politica e magari anche perché il suo elettorato che non si riconosce nelle scelte del suo leader fa gola ai moderati.
La posizione ambigua di Salvini al riguardo delle elezioni in Russia (senza nemmeno adombrare il dubbio che il clima poliziesco creato intorno al voto possa avere determinato un condizionamento per coloro che si sono recati alle urne) è stata stigmatizzata da tutti. A partire da Antonio Tajani che, da vicepremier, ma soprattutto da capo della diplomazia italiana, ha colto al volo l'occasione per marcare la distanza tra Forza Italia e una Lega salviniana sulla quale evidentemente Vladimir Putin esercita ancora del fascino.
A Salvini che ha detto ''hanno votato e ne prendiamo atto. Quando un popolo vota ha sempre ragione, ovunque voti'' e che ''le elezioni fanno sempre bene, sia quando uno le vince che quando uno le perde'', Tajani, a stretto giro di dichiarazioni, ha replicato duramente, non prima di avere messo in riga il segretario leghista dopo l'invasione di campo. Premesso quindi, quasi con un pizzico di perfidia, che la politica internazionale ''la fa il ministro degli Esteri'', ovvero lui, Tajani ha detto chiaramente che in Russia ''le elezioni sono state caratterizzate da pressioni forti e violente. Navalny é stato escluso dalle elezioni di fatto con un omicidio e non c’erano candidati e avversari di Putin. Abbiamo visto le immagini dei soldati russi entrare dentro i seggi per vedere come votava la gente. Non mi sembra che siano elezioni che rispettano i criteri che rispettiamo noi''.
Ma, se la risposta piccata quanto puntuale di Tajani era nell'aria, meno scontata era la presa di posizione giunta dalla Lega che, come partito, ha detto di non dare ''un giudizio positivo o negativo del risultato, ne prendiamo atto e lavoriamo per la fine della guerra ed il ritorno alla pace. Con una guerra in corso non c’è niente da festeggiare''.
Se non è una rettifica della posizione di nonchalance nei confronti delle polemiche internazionali per le modalità con cui si è votato in Russia, poco ci manca. Il resto, le interpretazioni, le dietrologie, i cattivi pensieri su cosa stia accadendo nella Lega lo lasciano ad altri.