Raid sempre più feroci, bambini a rischio carestia, mediatori al Cairo: la guerra non dà tregua, ma la speranza diplomatica non si arrende.
Un crescendo di tensione e distruzione
Da giorni, i bombardamenti su Gaza City si susseguono con una forza devastante. Le forze israeliane, dopo aver pianificato una nuova offensiva, hanno intensificato attacchi aerei e terrestri contro l’est della città, colpendo zone densamente popolate e provocando numerose vittime civili. Solo ieri 12 agosto almeno 11 persone sono rimaste uccise in raid su Gaza City e altre aree della Striscia; fonti palestinesi parlano inoltre di 89 vittime nelle ultime 24 ore, diverse delle quali nei pressi di centri di soccorso umanitario.
La tensione è palpabile: la Difesa civile di Gaza riferisce che le bombe, i droni e ordigni ad alto potenziale esplosivo hanno causato distruzione massiccia: “che scuote la terra ad ogni impatto”, afferma la Difesa civile di Gaza.
Crisi umanitaria: fame, sete e bambini in pericolo
L’emergenza alimentare è reale e presente. L’UNICEF e l’OMS segnalano che le riserve di cibo terapeutico pronto all’uso (RUTF) – essenziale per curare la malnutrizione grave nei bambini – sono insufficienti e potrebbero finire a metà agosto. Solo 3.000 bambini possono ancora essere curati; già 5.000 nei primi di luglio hanno ricevuto assistenza. Complessivamente, più di 20.500 bambini sono stati trattati per malnutrizione acuta nel 2025, con oltre 113 decessi causati direttamente dalla fame.
L’ONU riporta che da inizio conflitto (ottobre 2023), almeno 103 bambini sono morti per fame e malnutrizione, parte di un totale di 227 decessi per cause legate alla carenza di cibo. Secondo le Nazioni Unite, Gaza affronta “il livello più alto di fame e malnutrizione dall’inizio della guerra”. Medici e osservatori parlano di una crisi in rapido deterioramento, con mamme e neonati indeboliti, mentre il collasso dei servizi essenziali – elettricità, acqua, sanità – aggrava la tragedia umanitaria.
Pressione globale: appelli unanimi per l’accesso agli aiuti
La comunità internazionale reagisce con rinnovata urgenza. I ministri esteri di 25 Paesi – tra cui Regno Unito, Francia, Spagna, Australia e Giappone – assieme a rappresentanti UE, formulano un appello pressante: “un’ondata” di aiuti umanitari deve raggiungere Gaza, senza restrizioni. L’OMS e gli “Elders” parlano di una crisi “catastrofica” e “genocidio in divenire”.
L’Unione Europea, da parte sua, condanna con forza l’uccisione di sei giornalisti – tra cui un cronista di Al Jazeera – e chiede ad Israele di giustificare le sue affermazioni sul loro coinvolgimento con Hamas. “I giornalisti sono protetti dal diritto internazionale; non possono essere bersaglio a meno che non vengano provati come combattenti attivi”, sottolinea il Comitato per la Protezione dei Giornalisti.
Diplomazia in fermento: piano di cessate il fuoco e ostaggi al centro
Sul fronte diplomatico, Egitto, Qatar e Turchia lavorano freneticamente per ricucire le trattative di pace. Una delegazione di Hamas è arrivata al Cairo per sostenere un piano che preveda un cessate il fuoco temporaneo di 60 giorni, scambi di prigionieri e un rilascio simultaneo di tutti gli ostaggi.
Il premier israeliano Netanyahu ha dichiarato che Israele non porrà fine ai bombardamenti finché non tutti gli ostaggi – vivi o deceduti – non siano restituiti e Hamas non si arrenda, mantenendo comunque il controllo della sicurezza su Gaza.
Spazio per il futuro: governance e ricostruzione
Sebbene la guerra perduri, si comincia a guardare oltre. Fonti internazionali riferiscono che, al termine del conflitto, la leadership della Striscia potrebbe essere affidata a Samir Hulileh, imprenditore palestinese moderato e ben visto sia da Stati Uniti che da Israele, sotto l’egida della Lega Araba. La ricostruzione richiederà investimenti stimati in 53 miliardi di dollari, con il Golfo in prima linea e il coinvolgimento attivo di USA e UE.
Gaza sospesa tra devastazione e speranza
In questo momento, Gaza è sospesa tra devastazione e speranza: bombe incessanti, civili in agonia, bambini affamati e giornalisti caduti. Ma non tutto è perduto: diplomazia, comunità mondiale e ong operano per aprire uno spiraglio. Il futuro resta incerto, ma il mondo — e soprattutto chi è ancora vivo nella Striscia — non ha smesso di sperare nella pace.