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Maduro canta Imagine mentre Washington scrive il dopo-Maduro

- di: Jole Rosati
 
Maduro canta Imagine mentre Washington scrive il dopo-Maduro
Maduro canta Imagine mentre Washington scrive il dopo-Maduro
Mentre gli Stati Uniti discutono il futuro post-Maduro, tra esilio e processo, il leader venezuelano canta Imagine di John Lennon e chiama alla mobilitazione permanente contro le esercitazioni militari Usa nei Caraibi.

A Washington e a Caracas si scrivono due copioni paralleli ma opposti. Nella capitale americana si analizzano gli scenari per il “dopo-Maduro”, valutando tutto: dal possibile esilio negoziato fino alla prospettiva di un processo negli Stati Uniti. In Venezuela, invece, Nicolas Maduro tenta di ribaltare la narrazione cantando Imagine davanti alla folla e presentandosi come giardiniere della pace assediato dall’“impero”.

La crisi venezuelana, ormai cronica, si muove su tre assi: giustizia, pressione militare e battaglia simbolica. Washington alterna aperture e sanzioni; Caracas risponde con piazze, retorica patriottica e simboli pop trasformati in strumenti politici.

Piani americani per il dopo-Maduro

La Casa Bianca lavora a una bozza di strategia che disegna il giorno in cui Maduro potrebbe non essere più al potere. Non è un piano rigido, ma una mappa di scenari: un’uscita negoziata, un crollo improvviso o una transizione più lenta, accompagnata da un graduale allentamento delle sanzioni.

Il timore principale è il collasso totale del paese. Per questo si studia un equilibrio delicato: un eventuale esilio che convinca i vertici militari a mollare il leader, oppure un processo che invece segnerebbe la linea dura della giustizia internazionale.

“Dobbiamo evitare che il Venezuela cada in una spirale incontrollabile”, ha confidato un funzionario americano al lavoro sulla transizione.

Esilio o processo negli Stati Uniti

Le due strade ipotizzate non potrebbero essere più distanti. La prima: un corridoio sicuro verso un paese terzo, una via d’uscita che eviterebbe una resa dei conti destabilizzante. La seconda: un arresto formale e un processo con accuse che vanno dalla corruzione al narcotraffico.

L’esilio potrebbe permettere una transizione rapida. Il processo, al contrario, soddisferebbe l’idea di giustizia ma rischierebbe di blindare attorno a Maduro l’intera cupola del potere.

“La giustizia non può diventare un ostacolo alla pace”, ha osservato un analista americano vicino al dossier.

Sanzioni, petrolio e la crisi economica

Da anni la strategia statunitense è costruita su un sistema di sanzioni a livelli, intensificato soprattutto contro il settore petrolifero, cuore dell’economia venezuelana. Le concessioni sono state spesso temporanee: licenze parziali, seguite da nuove strette quando Caracas non rispettava gli impegni su liberazioni politiche o processi elettorali credibili.

Al quadro energetico si è aggiunto il tema migratorio: milioni di venezuelani in fuga dalla crisi hanno reso il paese una variabile della politica interna americana.

Ricostruzione: il ruolo di Banca Mondiale e Fmi

Dietro le quinte si discute anche del “dopo” in termini economici. La ricostruzione del Venezuela richiederebbe un intervento multilaterale di dimensioni enormi. Tra le ipotesi: un piano coordinato da Banca Mondiale e Fmi per affrontare inflazione, debito, collasso delle infrastrutture e crisi dei servizi essenziali.

“Senza un governo riconosciuto e istituzioni credibili, nessun aiuto potrà funzionare”, avverte un economista specializzato sulla regione.

Maduro canta Imagine e invoca la pace

A Caracas, intanto, Maduro ha scelto la via del simbolismo. In un comizio affollato, ha chiesto ai giovani di riscoprire la canzone Imagine, definendola un “dono all’umanità”. Poi ha iniziato a cantare mentre il pubblico sollevava le braccia e faceva il segno della pace.

“Dobbiamo fare tutto per la pace, come diceva John Lennon”, ha proclamato Maduro davanti ai suoi sostenitori.

Il messaggio è chiaro: costruire un’immagine di leader pacifista assediato da un nemico esterno.

La chiamata alla mobilitazione permanente

Nel giro di poche ore, però, Maduro ha indossato un altro tono. Ha chiesto a sei regioni orientali del paese di organizzare una mobilitazione permanente, fatta di marce e veglie contro le esercitazioni militari Usa nelle acque di Trinidad e Tobago.

Ha invitato forze popolari, sociali, politiche, militari e di polizia a riempire le strade con “fervore patriottico”, accusando Washington di “provocazioni irresponsabili”.

“Non cedete alle provocazioni, ma restate nelle strade”, ha dichiarato il presidente, trasformando la tensione con gli Usa in motore di coesione interna.

La dimensione militare

Gli Stati Uniti mantengono una presenza navale significativa nel quadrante caraibico. Ufficialmente è un’operazione contro narcotraffico e contrabbando, ma per Caracas è un chiaro segnale politico. La Casa Bianca valuta persino il coinvolgimento di società di sicurezza private nel caso di un cambio di governo, per evitare che la transizione sia ostaggio di vendette e caos interno.

“La pressione è più psicologica che militare”, ha notato un esperto della regione.

Opposizione e società civile

Nel frattempo l’opposizione tenta di non restare ai margini. Rivendica la vittoria nelle ultime elezioni contestate e insiste: la transizione deve passare dal voto reale dei venezuelani, non da un accordo fra potenze esterne.

“Il cambiamento deve venire dal nostro popolo”, ha ribadito una figura di spicco dell’opposizione.

Gli scenari in campo

Il ventaglio delle possibilità resta ampio: dal compromesso negoziato fino al crollo disordinato, passando per un logoramento prolungato in cui il regime sopravvive a colpi di repressione e alleanze esterne.

Intanto, l’immagine di Maduro che canta Imagine mentre accusa gli Stati Uniti di minacciare il Venezuela diventa il simbolo perfetto della dualità del momento: pace apparente sul palco, mobilitazione permanente nelle strade.

Il futuro resta un rebus. E il giorno dopo, quando arriverà, non sarà meno complesso del presente. 

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