Nel III trimestre 2025 gli occupati scendono, la disoccupazione cala e l’inattività sale: non è un rompicapo, è un messaggio. E va letto fino in fondo.
Il dato “da titolo” è semplice: nel terzo trimestre 2025 il numero di occupati (stimato al netto della stagionalità) cala di 45mila unità e si assesta a 24,102 milioni. Ma la storia vera non è una sottrazione: è un cambio di ritmo, un piccolo scarto che arriva dopo una lunga fase positiva e che mette in fila domande molto concrete su qualità del lavoro, intensità lavorativa e fiducia.
La frenata in tre righe (e senza fumo)
- Occupati: -45mila sul trimestre (-0,2%).
- Disoccupazione: scende al 6,1% (dato destagionalizzato).
- Inattività: sale al 33,3%.
Il punto chiave è che questi tre movimenti non si annullano: si sommano e raccontano un mercato del lavoro che non sta “crollando”, ma sta cambiando postura.
Perché la disoccupazione scende mentre gli occupati calano
È il classico paradosso che inganna i titoli frettolosi. Se aumenta il numero di persone che non risultano in ricerca attiva (gli inattivi), la platea dei disoccupati può diminuire anche in presenza di una flessione degli occupati. In pratica: una parte di persone non è più conteggiata tra chi cerca lavoro perché ha smesso di cercarlo o non è disponibile subito.
Non è un giudizio morale, è una dinamica statistica con un impatto reale: quando l’inattività cresce, spesso significa che il mercato appare meno accogliente o più incerto, soprattutto per alcune fasce.
Contratti: si sgonfia il termine, regge lo stabile, cresce l’autonomo
Nel confronto con il trimestre precedente, la frenata arriva soprattutto dal lavoro a termine: i dipendenti a tempo determinato calano, mentre i permanenti restano sostanzialmente stabili e gli autonomi aumentano.
Guardando invece su base annua (dati non destagionalizzati), il numero complessivo di occupati risulta quasi invariato, ma cambia la composizione:
- Tempo indeterminato: +121mila in un anno.
- Indipendenti: +114mila in un anno.
- Tempo determinato: -241mila in un anno.
È un messaggio doppio: da un lato c’è una spinta verso forme più stabili; dall’altro, il ridimensionamento del determinato può essere anche il segnale di una domanda che si fa più prudente, specie nei comparti dove il termine è fisiologico.
Tempo pieno su, part time giù: un cambio di equilibrio
Il confronto annuo mostra un aumento del tempo pieno e una diminuzione del part time. Non è per forza “bene” o “male” in assoluto: può significare più ore e più reddito per alcuni, ma anche meno flessibilità o meno occasioni per chi entra e per chi concilia.
Qui entra in scena un indicatore che vale oro: l’input di lavoro misurato con le ore lavorate in Contabilità nazionale, che nel trimestre risulta in aumento. Tradotto: in questa fase il sistema sembra preferire far lavorare di più (o in modo più intenso) piuttosto che allargare rapidamente la base degli occupati.
Imprese: posizioni dipendenti in crescita, ma con una nota a margine
Nel perimetro di industria e servizi, le posizioni lavorative dipendenti risultano in crescita sul trimestre e anche su base annua. Crescono le posizioni full time e, più lentamente, quelle part time; la quota del part time sul totale scende leggermente.
Tra le righe, ci sono altri due segnali utili per capire l’umore delle aziende:
- Somministrazione: continua a calare (anche se con rallentamento), un termometro spesso sensibile quando il ciclo economico perde slancio.
- Lavoro intermittente: mantiene una dinamica positiva, segnale di una domanda che in alcuni casi resta “a chiamata”.
Posti vacanti: 1,8%. La domanda c’è, ma non corre
Il tasso di posti vacanti è pari all’1,8%: in lieve aumento sul trimestre, ma in calo rispetto a un anno prima. È uno di quei numeri che non fanno scena, ma spiegano molto: le imprese cercano ancora, però con una temperatura più bassa rispetto al 2024.
Giovani: disoccupazione al 19%, e il rischio di restare ai margini
La disoccupazione tra i 15-24enni si colloca al 19% e cresce rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. È un dato che pesa perché, quando l’ingresso nel lavoro si complica, si accumulano ritardi e “cicatrici” su competenze e percorsi.
Il contesto macro: industria debole, crescita sottile
Sul fondo, il quadro economico resta poco tonico: la manifattura arriva da segnali di debolezza e la crescita del PIL nel periodo risulta modesta. In un contesto così, il lavoro spesso non crolla di colpo: più facilmente si appiattisce, e poi sceglie strade laterali (più ore, meno termine, più prudenza sui canali “flessibili”).
Cosa guardare nei prossimi mesi
- Inattività: se continua a crescere, la “disoccupazione bassa” rischia di raccontare solo metà storia.
- Termine e somministrazione: sono spesso i primi a muoversi quando il ciclo cambia.
- Ore lavorate e costo del lavoro: se salgono senza una ripresa delle assunzioni, può crescere la pressione sulle imprese (e sulle persone).
- Giovani: se il tasso resta alto, il rallentamento diventa strutturale, non episodico.