Incidenti sul lavoro: una piaga colpevolmente non combattuta
Forse, alla fine, ha proprio ragione Domenico Marrella, segretario generale della Confael, secondo cui ormai la Giornata nazionale delle vittime del lavoro - giunta alla sua settantesima celebrazione - sembra avere perso la sua carica propositiva e propulsiva, riducendosi ad una mera celebrazione, in cui si segue un copione che è lo stesso da anni.
Perché, dice Marrella, non basta ''davanti agli infortuni ed ai morti che vengono ignorati e che non diminuiscono'' dire basta, ''dobbiamo scendere in campo con una strategia diversa e nuove forze per un grande progetto di sicurezza nei luoghi di lavoro", piuttosto che limitarsi a tenere aggiornate le agghiaccianti statistiche su chi del lavoro è vittima.
In fondo il ragionamento di Marrella è forse vero perché degli incidenti del lavoro e del pesantissimo impatto che essi hanno sulla società (sia in termini di umana sofferenza che economici) ci si ricorda solo se, distrattamente, sentiamo qualcosa dai tg televisivi o radiofonici poi, a notizia finita, dimentichiamo tutto, con un meccanismo di rimozione che è ormai insito nella nostra era, in cui tutto si crea e tutto si consuma nel brevissimo lasso di tempo di uno spot.
Da parte sua, il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, ha sottolineato che ''nel 2020 subire un infortunio invalidante o, peggio ancora, perdere la vita mentre si sta svolgendo il proprio lavoro non può essere più considerato accettabile".
Un messaggio forte, ma terribilmente eguale a quello che, nel tempo, hanno lanciato i suoi predecessori, quasi che gli infortuni sul lavoro siano un tributo necessario che si deve pagare affinché la macchina produttiva continui ad andare avanti, costi quel che costi. Anche se si tratta di una vita umana.
I riscontri numerici di una situazione che ha da tempo superato la soglia della semplice preoccupazione sono drammaticamente esplicativi. Secondo i dati forniti dal presidente dell'Inail, Franco Bettoni, al 31 agosto 2020 le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Inail sono state 322.132, in calo del 22,7% rispetto al 2019. Un calo di cui evidentemente incide il rallentamento delle attività lavorative determinate dalla pandemia, che, per quanto riguarda le infezioni di origine professionale da Covid-19, pari a 52.209, hanno riguardato al 71,3% le donne. Però, se poi si va a guardare, il numero dei decessi e ci si accorge che hanno toccato il numero di 823 nei primi otto mesi del 2020 si rileva un aumento del 20,1% rispetto allo stesso periodo del 2019.
Tra gennaio e novembre 2019 morti hanno sfiorato soglia 1.000.
Da parte sua il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha detto che, dal momento che non si può eliminare la piaga degli infortuni in ambiente lavorativo, ci si dovrà impegnare a prevenirli con una ''mirata attività di formazione e informazione" unita ad un innalzamento degli strumenti di controllo e vigilanza.
Parole, buone intenzioni, alle quali però troppo spesso, finita l'eco di una celebrazione o di una commemorazione, scende il velo dell'insensibilità. Perché, poi, alla fine, ha detto ancora Marrella, non possiamo accettare di essere ''i tristi notai che commentano i numeri della strage''.